"Acqua non lava, acqua e sapone lava."
Avevo circa 3 anni e mezzo, quasi 4, quando sentii questa frase da parte di mia nonna. Ero in quello che è il suo appartamento, all'interno dell'antica casa del Vecchio Paese in cui ho vissuto per un quarto di secolo circa. Fuori era buio, come molto spesso succede al Vecchio Paese durante la brutta stagione dalle 17 in poi. O forse, più semplicemente, le persiane erano chiuse perché non volevamo che i vicini ci guardassero in casa: anche questo succedeva spesso.
Il salotto era illuminato da un lampadario in stile "Impero", con una lampadina da mezza candela di luce: una sola lampadina per un lampadario con almeno sei alloggiamenti per lampadine: le lampadine consumano, e "mille briciole formano un pane", per usare un'altra frase fatta che circolava spesso.
"Acqua non lava, acqua e sapone lava". Questa frase estemporanea è una delle memorie più antiche che ho. Molto probabilmente è la più antica che ho in assoluto, di memoria. E a tal proposito due cose mi vengono da dire. Una: come mai una frase così insulsa sia la memoria più vecchia che mi sia rimasta impressa. La seconda, invece, è un senso di tristezza per sapere nel sapere che i miei figli, di molte delle cose che abbiamo fatto adesso, non avranno tanta memoria quando saranno grandi. Mi piace pensare (o meglio, voglio sperare) che almeno gli resti impressa la sensazione dell'affetto che noi spaesatissimi e impreparatissimi genitori abbiamo provato nei loro confronti. Il fatto che ogni giorno li coccoliamo e che nelle nostre limitate capacità facciamo del nostro meglio perché siano dei bimbi felici. O forse no. Oppure forse questa mia memoria, "Acqua non lava, acqua e sapone lava" è un'illusione, un costrutto del mio cervello per tappare qualche buco, fatto a partire dagli scarti di altre memorie che si sono dei combinate in una semplificazione narrativa. Magari l'ho sognata. Magari no. Magari ha un significato, magari sto cercando di inventarmene uno.
In uno dei suoi racconti meno riusciti Asimov suppone che tutto quello che vediamo tutte le esperienze che abbiamo nella nostra vita vengono vengano registrate in maniera precisa e perfetta senza alcuna interpretazione, e ci sia una parte del nostro cervello a livello lievemente superiore che le filtra, le combina, le sopprime, archiviandole e riassumendole perché, e chi abbia mai lavorato con un ERP in vita sua lo sa, avere una tale massa di dati on-line tutto il tempo manda il sistema a puttane: tutto troppo difficile da gestire per i nostri piccoli cervellini.
In questo racconto il protagonista assume un inibitore sperimentale che fa sì che questa parte del cervello che semplifica e censura venga, appunto inibita: e quindi si trova a conoscere perfettamente cose che, magari, anni prima ha letto in maniera rapidissima, quasi diagonale. Ora se da un lato questa cosa sarebbe una benedizione, dall'altro lato mi aspetterei che una persona che ricordasse esattamente ogni singola cosa in maniera perfetta e non edulcorata dal cervello, molto probabilmente finirebbe per sbloccarsi completamente. Un attacco denial-of-service, se vogliamo, che impedisce al cervello di riassumere, di narrativizzare le nostre esperienze. Un'eliminazione dell'algoritmo di compressione che ci farebbe scoppiare il cervello, costringendolo a incamerare solo dati "grezzi".
Il fatto è che nell'istante che immediatamente segue la nostra percezione di un momento applichiamo a quel momento un'infrastruttura atemporale che riconosce che cosa abbiamo visto, annusato, ascoltato o sentito, e tramite questa infrastruttura fondamentale per la semplificazione, quel particolare momento viene collegato a tutto il resto delle nostre esperienze, accumulandosi ad altri momenti fino a creare quello che potremmo chiamare "il romanzo di noi stessi".
Il romanzo di noi stessi funziona in due direzioni: ci fa leggere rapidamente il passato applicandogli le regole dell'intreccio narrativo che Jung ritiene che siano gli archetipi della nostra psiche, ma peggio ancora ci fa credere di poter estrapolare il futuro. Grazie al romanzo di noi stessi pensiamo di esserci costruiti quello che le persone serie chiamano un modello di inferenza, che ci permette di sapere come funziona il mondo e che permetterà di anticipare gli eventi, dandoci gli strumenti per gestire questi eventi nel migliore dei modi. Per evitare rischi, insomma.
Negli ultimi tempi ci ho molto pensato a quella frase: "acqua non lava, acqua e sapone lava". Soprattutto quando, all'inizio della pandemia di COVID-19, gli esperti sparavano in tutte le direzioni (per poi successivamente disegnare un bersaglio attorno ai colpi che avevano sparato in modo da poter dire di aver fatto centro) dicendo bestialità tipo che le mascherine non funzionavano e che il covid si trasmette va soltanto tramite i cosiddetti "fomiti". Ci avete presente? Eravamo a spellarci tutti le mani a furia di lavarcele, temendo di toccare qualsiasi cosa, come quell'incubo che avevo avuto in cui Monkey Island 2 era un gioco in prima persona il cui obiettivo era quello di non toccare nulla, salvo venire trasformati in uno scheletro.
E quindi appena si usciva dalla zona protetta che era la casa al ritorno subito tutti a lavarsi le mani con tanta acqua e tanto sapone. Questo perché ci siamo fatti un modello del mondo in cui tutto è estremamente schifoso e lavarsi le mani ci evita cose spiacevoli.
Ovviamente si è visto che non era così, che il virus si sparge tramite aerosol, e puoi lavarti le mani tutte le volte che vuoi, puoi pure metterti la mascherina e tutto quanto, e comunque una probabilità non nulla di infezione c'è sempre. Molto più ridotta, molto più gestibile, ma la grande frustrazione è fare tutto bene e comunque venire "puniti" dall'universo. Perché io sono cresciuto con leggi molto tranchant nella loro formulazione, che non lasciano spazio ad ambiguità: ti comporti bene e gli altri si comporteranno bene con te, ti comporti male e sarai punito.
A un livello di approssimazione alto, questo funziona. Ci sono cause, ci sono conseguenze. Ci sono quelle che in informatica vengono chiamate "good practices" che riducono la gravità e la verosimiglianza dei rischi, ma senza stare a scomodare le leggi di Murphy (che ho sempre trovato una forma di autocommiserazione mascherata da sarcasmo), esiste sempre la possibilità che qualcosa vada diversamente da come ce lo aspettiamo. Non necessariamente nel male, eh! Il fatto di non aver realizzato il mio sogno di infanzia mi ha dato cose infinitamente più belle, per dire.
Ma non possiamo puntare tutto sul fatto che le cose vadano esattamente come ci siamo autoconvinti perché abbiamo paura di farci domande scomode, o magari perché le persone attorno a noi sono una manica di codardi invidiosi che cercano di tirare giù ogni possibile tentativo di elevarsi, e quindi per la saggezza della folla le cose devono per forza andare in un certo modo. No. Non funziona così. Per fortuna, direi.
Ma forse, con un certo grado di approssimazione, e salvo ulteriori smentite, posso dire che tutti questi trecento e passa videogiochi a cui ho giocato mi abbiano insegnato una cosa. All'inizio di questa avventura mi chiedevo "Che cos'è la merda?". E poi, per scherzo mi chiedevo anche "Che cos'è "che cos'è la merda"?". Il fatto di aver scelto "la merda" come principale metro di giudizio è un inside joke di un mio vecchio lavoro. Durante un progetto in cui dovevo riparare alle malefatte informatiche di una società di consulenza piena di incapaci, mi ero trovato a spiegare al mio diretto superiore (persona molto gradevole) le ultime pezze che avevo messo. "E poi c'è anche quella merda relativa alla transazione tal dei tali" gli avevo detto. Un altro nostro superiore (persona molto sgradevole) mi aveva sentito dall'altro lato dell'open space e aveva urlato "FERMI TUTTI, CHE COS'È LA MERDA? CHE COS'È ... CHE COS'È LA MERDA?" e la cosa ci aveva fatto molto ridere.
È una di quelle cose che bisognava esserci, come dice mia moglie quando le racconto questi aneddoti ridacchiando tra me e me. Ha ragione, ovviamente, ma a grattare un attimo sotto questa domanda sembrava davvero che ci si stesse chiedendo qualcosa di estremamente profondo. Che cos'è la merda l'ho detto all'apertura di questo blog: la merda, nel nostro caso, è quella cosa che esce dal processo di trasformazione del lungo tubo digerente della memoria. È una cosa che ci sembrava buonissima, e magari lo era pure, ma adesso è soltanto un tronchetto (quando va bene) marrone e puzzolente. "Che cos'è "Che cos'è la merda" ?" è la trasformazione della domanda in una meta-domanda, e se all'inizio di questo blog non sapevo cosa rispondere, ora forse sì.
Quello che ho fatto in queste trecento e passa settimane (senza saltare un solo lunedì) è chiedermi che cos'è che fa sì che un videogioco per me sia merda. Man mano che il percorso procedeva, qualche pattern comune alla merda l'ho trovato. Si tratta, e se siete stati attenti lo avrete già capito, della sensazione di essere presi per i fondelli da programmatori scriteriati che non sembravano mettere una logica nelle nostre azioni. L'ho chiamato aporiomorfismo usando un neologismo molto autocompiaciuto (me la tiravo un po', durante la stesura di quell'articolo, perdonatemi). Più semplicemente viene meno la logica deterministica che diamo alle cause e agli effetti che abbiamo imparato a riconoscere grazie al romanzo di noi stessi. La cosa fa sì che David Hume rida alle nostre spalle facendo le scorregge con la mano a conchetta sotto l'ascella, ma personalmente non lo trovo divertente. Proprio per niente.
Quasi tutti i videogiochi a cui ho dato merda, dunque, con il loro attentato alla causalità, sono dunque per me una variazione di quel grande gioco a cui ricordo di aver giocato in continuazione sin da quanto abbia memoria, dai tempi di quell' "acqua non lava, acqua e sapone lava" che mi risuona in testa ancora oggi. Si tratta di quello che qualcuno ha chiamato "il gioco del sasso sbagliato". Sigla!
Il gioco del sasso sbagliato (L'Ex Videogiocatore, 1982)
È un gioco immaginario, come gli esperimenti ideali di Galileo. Immaginatevi di trovarvi in riva a un fiume. Immaginiamo il fiume Panaro, che ha le rive molto sassose. A questo punto, la persona che gioca con voi vi dice "portami un sasso". Voi prendete un sasso, glielo date, e la persona che gioca con voi dice "È il sasso sbagliato, prova di nuovo". Voi provate a chiedere come dev'essere questo sasso, se potete avere un indizio. No, nessun indizio. Dovete portare il sasso giusto. Voi vi mettete in ginocchio e implorate almeno un'indicazione, e la persona che gioca con voi dice "Ok, dai, ti dico come lo vorrei quel sasso, anche se poi te la faccio troppo facile. Vorrei che quel sasso fosse più macilento." Voi non avete idea di che cosa significhi tutto questo e provate a prendere un sasso abbastanza stretto, e lo portate. "No, è il sasso sbagliato. Ho cambiato idea, voglio un sasso agglutinante." Voi siete persone colte e sapete che agglutinare ha qualcosa a che vedere con l'incollare, quindi trovate un sasso con qualcosa di appiccicoso che potrebbe benissimo essere guano di uccello e glielo portate. "No, è il sasso sbagliato. Lo voglio più acquebrulto". Voi non avete idea di che cosa voglia dire e molto probabilmente, ma per assonanza andate a prendere un sasso in mezzo all'acqua, e glielo portate. E ancora una volta, il sasso è sbagliato, e a ogni sasso sbagliato voi vi sentite sempre più delle merde incapaci.
Ora, se avete capito che cosa voglio dire con questa contorta metafora capirete che a questo gioco ci abbiamo giocato un po' tutti, quando ci siamo trovati a cercare di soddisfare richieste che per noi erano completamente illogiche, ma che dovevamo comunque soddisfare. Perché? Boh! Perché volevamo essere accettati dalle persone con cui giocavamo, o perché forse speravamo che il nostro compagno di giochi ci amasse di più, o la smettesse di trattarci male, o semplicemente perché ci era stato detto che il nostro compagno di giochi andava intrattenuto ed era maleducazione non giocare con lui. Non lo so. . Ma personalmente ci ho giocato tanto, nel ruolo del cercatore del sasso, trovandomi spesso in situazioni in cui arrivavo a dubitare della realtà oggettiva, senza rendermi conto che un sasso valeva l'altro e che continuando a seguire gli ordini del mio compagno di gioco du jour, gli lasciavo il campo libero di definire la mia realtà. Giocare al sasso sbagliato è confrontarsi con la cattiveria umana, che esiste ed è reale, e che non possiamo giustificare clinicalizzandola o riconducendola alle conseguenze di chissà quale trauma.
Chi chiede agli altri di portargli un sasso che non andrà mai bene è una persona troppo pigra e troppo vanitosa per chiedersi quale sasso voglia veramente, e perché abbia bisogno di un sasso: in realtà del sasso non gliene frega niente, si diverte soltanto a manipolare il cercatore di sassi distruggendogli di proposito le certezze, per avere un potere su di lui.
I videogiochi, in cui le interazioni sociali reali venivano meno, diventavano dunque il posto dove io eroicamente potevo definire la mia realtà, senza interferenze da parte di qualche stronzo ossessionato da una cazzo di pietra: ma scoprire che la stessa dinamica del sasso sbagliato si ripete pure in un simulmondo in cui io mi rifugio perché il mondo là fuori è pieno di figli di puttana sempre pronti a ordinarmi di portar loro un sasso, allora no, non va più bene. Questa è la risposta a "Che cos'è "Che cos'è la merda"?".
Per vincere al gioco del sasso sbagliato avevo pensato di prendere una manciata di sassi e tirarli in faccia con violenza a chi gioca con me. Questo, però, Andreotti non me lo lascerebbe fare.
Penso che l'unica cosa da fare sia non giocarci proprio. Ho giocato metaforicamente al sasso sbagliato per cinque anni con me stesso, nel non-luogo in cui da piccolo mi ero rifugiato per sfuggire per un po' a tante persone, alcune a me molto vicine, che mi chiedevano sempre quel cazzo di sasso giusto.
Adesso basta, però.
Uno dice "potresti continuare a giocare, ma solo ai giochi che non sono merda: almeno lì nessuno ti chiederebbe un sasso per poi romperti i coglioni perché non è il sasso che hanno immaginato". Vero, ma servirebbe? Ho accettato, anche se a malincuore e con un certo senso di angoscia, che il controllo sul mondo che ci circonda è solo una grande illusione, checché molta gente si illuda di poter controllare l'universo parlandone in continuazione e prodigandosi in previsioni da esperti di geopolitica da bar. Questa è una credenza a cui mi sono attaccato per troppo tempo, e farmi del male tutti i lunedì con un videogioco diverso, inspiegabilmente, mi ha fatto rendere conto di questo mio errore.
In una sua preghiera resa successivamente popolare dagli Alcolisti Anonimi, il teologo calvinista Reinhold Niebuhr chiedeva a Dio di dargli la serenità di accettare le cose che non poteva cambiare, il coraggio di cambiare le cose che aveva il potere di cambiare, e la saggezza per capire la differenza tra ciò che poteva essere cambiato e ciò che non poteva essere cambiato. Io ho sciupato tanti anni e tante energie attaccandomi a un pensiero magico che cercava di applicare al mondo reale le regole dei videogiochi. e ora mi trovo a 40 anni che non ho né la serenità, né il coraggio né la saggezza che Niebuhr chiedeva, e non mi faccio certo illusioni di poterli ricevere tutto d'un tratto, per miracolo.
Il mondo va avanti, nel male e nel bene, e per lo più al di fuori del mio controllo. Il "romanzo di me stesso" molto spesso sarà completamente inutile per predire il futuro e, come mi ha promesso due settimane fa, Andreotti verrà a ricordarmi che non posso pilotare ogni cosa con azioni completamente scorrelate, in po' come faceva mia nonna quando diceva che l'Italia ai mondiali segnava ogni volta che si alzava per andare a bere. Non è una cosa che dopo tanto tempo passato a pensarla in un certo modo si possa accettare facilmente. Ma bisogna provarci, riprovarci, e riprovarci ancora.
Grazie a tutti della cortese attenzione, chiudiamo pure qui.
L'ex videogiocatore
Post-fazione riflessiva, mi è piaciuta. Allora si chiude davvero qui questo viaggio, è stato bello, e anche istruttivo.
RispondiEliminaTi ho lasciato la mia email nel "non perdiamoci di vista", così almeno privatamente non sono più il "solito anonimo" e quando torni al vecchio paese se senti che la noia ti assale possiamo organizzare un aperitivo, magari anche con gli altri lettori del blog (io sto a meno di un'ora d'auto dal vecchio paese).
Facci sapere se esce il libro.
un abbraccio,
Il Solito Anonimo Amighista.
Grazie per questi piacevoli appuntamenti del lunedì. Spesso mi son travato d'accordo con i tuoi giudizi, a volte meno, si è trattato comunque sempre di letture interessanti.
RispondiEliminaGiusto chiudere in bellezza invece che continuare solo per inerzia. In bocca al lupo per i tuoi futuri progetti, sia personali che professionali!
Mi faccio una colpa di aver scoperto questo blog troppo tardi (a pochi mesi dalla fine) e di averlo recuperato in forma di burst anziché essermelo goduto in forma di appuntamento settimanale così da alleviare i deprimenti lunedì di questo Eterno Settembre. Ti ringrazio di tutto e ti faccio i miei migliori auguri, per quel che valgono, per il futuro.
RispondiEliminaBellissimo finale (capita di rado di leggere un "finale" di un blog), casualmente letto mentre Youtube mi ha messo in shuffle la traccia audio dell'epilogo di un videogioco della mia infanzia (lo so, cliché).
Se mai produrrai altre cose sarò in prima fila tra i tuoi fruitori.
Goodbye.
Bellissima la metafora del gioco del sasso sbagliato. A leggerti sembra quasi tu abbia raggiunto un'invidiabile saggezza o almeno una soddisfacente coscienza di sè, che io dopo secoli di terapia faccio ancora fatica ad avere.
RispondiEliminaUn saluto e come si dice in questi casi "ci si vede in giro"
A mio avviso se Francesco Carlà ritorna realmente come ha preannunciato di recente dovresti tornare con un post commemorativo
RispondiEliminaavrei trovato i floppy che cerchi, ma sono in un annuncio con un prezzo molto alto.
RispondiEliminase guardi la seconda foto di https://www.subito.it/vi/426002341.htm, EUROTAP e' proprio il primo floppy visibile
non è che le hai messe tu in vendita? :-)
Eliminaio per prima cosa avrei fatto le immagini e le avrei messe su archive.org
EliminaNon ho capito molto di quel che ho letto, quindi ho le tasche piene di "sassi sbagliati". Però in molto mi ci riconosco. Anche se iniziai più tardi coi videogiochi e per motivi diversi e sbagliati. Come i sassi.
RispondiEliminaJohn Petrus e' un americano di terza generazione.
RispondiEliminaQuando viene a sapere che i viaggi nel tempo sono possibili,si candida come crononauta.
Dopo 6 mesi parte per l antica roma e fa conoscere a tutti la pizza.
" la pizza e' americana" dice sorrridendo.
Con colpevole ritardo, pur googolando non ho trovato riferimenti. La tua è una citazione? Puoi illuminarmi a riguardo? Grazie.
EliminaCiao, vorrei ancora leggerti, è possibile trovarti sa qualche altra parte sul web? Grazie mille
RispondiEliminati segnalo che e' presente un annuncio che ti puo' interessare
RispondiEliminahttps://www.ebay.it/itm/195765957033?hash=item2d948f71a9:g:ky4AAOSwwgpkYh17&amdata=enc%3AAQAIAAAA4I%2Be7FRi%2BJaYZKQ4gndeiwDI6DVloruzgoPhj9OoS0xTehk71QMO3l548Xje7G9KTZPnOAVa%2Fp4HpGK8Ij1eTWXfKaB2m3up%2FuF1ZuTNvEaBc6h8rYpG3Kx%2BIB24i7RuzjDIO6gKbQ4%2BOBmvdKW0hGZALKe6a5ljdSDSRnkhtLM6s9BC8Ohs6BnrRWPGqJTOTUbtZJI9TNELBLuI3gx4cojZYd3D9cWZLqvJTAP%2BiBu4gIti%2FQgcxCUG%2B%2BtZxj88VZN9bSvu3mEE%2B%2FHg%2BaHu%2FI6WWbIXY00lZ4XEreg93SAC%7Ctkp%3ABk9SR9LG7b-FYw
https://www.ebay.it/itm/155709632148?hash=item2441046e94:g:N58AAOSwn6llQB1c&amdata=enc%3AAQAIAAAAwE7DmbajGxmuuKQuYl8S4nJeOn1ZfOnY%2FNzk%2FubU7JBJQND0zQ67%2FdsQWfZuQJk4P%2B6i1%2FjQJXK7mrKFD8klTjGKIpo8hGmBo1MUK8r3QhJpJ9T1MRg%2B2MIey0HSwjgPZoB9I7ny3vD5oTCE%2Fecgq36Ht%2Bmbc5J1yX%2FQ3v7nTvN%2FBN1K%2FBpvKUstAw790E6Bb067u7NsVOp4LPfBqkt9HBPoeCoLvd%2FDq459l%2B1tvNDa2Hkzx2Q6axuXm5vMtUGcbA%3D%3D%7Ctkp%3ABk9SR4TArOeWYw
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