lunedì 30 marzo 2020

Clik Clak

"Clik Clak? Li ricordo! Erano gli orologi per i bambini un po' tardi che non erano capaci di leggere l'ora dalle lancette!" - direte voi. Quasi! In realtà, il nome di quegli orologi un po' pacchiani era "Flik Flak" e consistevano nell'avere la lancetta delle ore color rosso e la lancetta dei minuti color blu, e sul quadrante le ore scritte in rosso e i minuti scritti in blu. Da quello, ammetto, non ci sono mai passato, anche se c'è stato un periodo in cui avevo diversi Swatch (erano di moda). Un mio amico del mare, invece, ne aveva centinaia, e ogni tanto si presentava in ispiaggia con uno o più swatch al polso destro, uno o più swatch al polso sinistro, e talvolta persino alcuni alle caviglie. Avete capito chi era?

State benone!
No, ok, era una domanda a trabocchetto: ovviamente non si tratta del cosiddetto decano del giornalismo sportivo bolognese (noto per il suo look con due orologi).  Trattavasi di un semplice bauscia del bergamasco con papà commenda munito di fabbrichetta e porschettino. Senza spingermi a quei livelli, una volta introdotto all'orologio da polso, l'ho tenuto come accessorio indispensabile per qualche anno. Principalmente accessorio di moda, dato che a scuola non era possibile guardarlo sennò partiva la tragedia da parte degli insegnanti che facevano tutti i permalosi dicendo "Qualche problema? Hai fretta di andare a casa?" (e nessuno che gli rispondesse "sì, mi fa cagare questo posto e mi fai cagare tu, stronzo"). Questo accessorio lo tenni fino a quando una conoscente che mi venne a trovare al mare (mia mamma era amica di sua mamma) mi fregò quello che avevo al tempo (ovviamente non ho le prove schiaccianti per dimostrarlo, ma diverse cose me lo fanno pensare, non ultimo il fatto che non sono l'unico ad aver notato questa indole).

lunedì 23 marzo 2020

Grand Theft Auto

Parliamo un po' del male. Questo è un argomento che forse è un po' troppo grande per un blog in cui si assegna indiscriminatamente il giudizio "merda" a videogiochi che in pochi ricordano. Però, parlare del capostipite di una serie di giochi che glorificano uno stile di vita criminale romanticizzandolo, e che tante controversie ha creato tra politici, associazioni di genitori, e in generale un sacco di gente che millantava di preoccuparsi della bussola morale dei loro virgulti, mi pare un'ottima occasione per cercare di inquadrare un po' il concetto di malvagità. Non vi pare? 

"Ah no, ecco che riparte col pippone" direte voi. Liberissimi di procedere fino a quando non compaiono gli screenshot, risponderò io. Ma non penso possa far male dare una rapida scorsa a tutto il resto dell'articolo. Il fatto è che Grand Theft Auto lo conoscono praticamente tutti, visto che sta continuando ancora oggi con il sesto episodio, quindi se posso usare questo argomento come clickbait per attirare un po' di persone a un argomento che ho decisamente a cuore.

"Il male immaginario - sostiene Simone Veil, donna politica francese e 12esimo Presidente dell'Europarlamento - è romantico e variegato. Il male reale è noioso, sterile, uggioso e monotono." Troppe persone vengono inebriate dallo studio approssimato della letteratura inglese, che inevitabilmente passa dal prestante e impetuoso Lucifero del Paradiso Perduto di Milton, in cui il male è fonte di disagio sublime, quella sensazione di farfalle nello stomaco in cui non sai se sei terrorizzato o perdutamente innamorato.

Meglio padroni all'inferno tirare a campare che servi in paradiso tirare le cuoia

Senza tirare fuori la visione dell'inferno di C.S. Lewis (che sinceramente trovo gradevole come un porcospino che scambia il mio scroto per un materasso in memory foam appena acquistato), mi sembra più consona la visione del desolante scenario futuristico che ci propone Terry Gilliam in "Brazil": in quella distopia il male è banalizzato, proceduralizzato e iperburocratizzato, chiaramente una strizzata d'occhio ad Hannah Arendt, che descriveva Adolf Eichmann, uno degli architetti dell'Olocausto, un "grigio burocrate".

giovedì 19 marzo 2020

Tutto il mondo è Vecchio Paese - ovvero quando la nostalgia può avere un senso e del perché a un certo punto è meglio fermarsi

Magari alcuni di voi avranno sentito che di questi tempi lo stile di vita dell'ex videogiocatore adolescente è diventato molto di moda, per via di ragioni estremamente spiacevoli di cui, detto tra noi, un sacco di gente ha scritto fin troppo e aggiungere pure il mio contributo sarebbe superfluo. Quindi se me lo permettete vorrei tornare un secondo sul senso di questo umile blog, se vi va. Ok?

Credo che questa immagine esista per ogni centro abitato d'Italia
Chi legge questo umile blog con una certa assiduità saprà che sono ormai sei anni (sei anni!) che non vivo più in Italia.

lunedì 16 marzo 2020

CyClones

Indovinate un po' di che cosa vi parlo oggi! No, vabbè, creare la suspense in un articolo così lungo non ha senso. Sticazzi! Di fatto oggi vi parlo di uno sparatutto 3D, cosa che non si vedeva da almeno un paio d'anni. Peraltro l'analisi dei giochi in 3D era uno speciale settimanale, ma dopo Wolfenstein 3D e Blake Stone ho deciso di lasciar perdere perché se proprio devo rivisitare la mia infanzia non mi va di farmi venire il mal di stomaco. Giusto? E infatti se ben ricordate ho pure detto che di Doom non avrei mai parlato. E ammetto che per un po' ho veramente fatto finta che il gioco della id Software non fosse mai uscito.

John Carmack! Questo nome mi par bene d’averlo letto o sentito;
doveva essere un uomo di studio, un letteratone del tempo antico: è un nome di quelli; ma chi diavolo era costui?
E insomma sapete dove sto andando a parare. Non che stia esaurendo la vena creativa, che so che tra i lettori di un blog c'è sempre quello che si sente in dovere di dire "non sei più quello di una volta, da Ports of Call è stato un continuo calare". Eh beh, quando avevo dei fan (ci credereste?) c'erano quelli che insistevano che mai e poi mai ogni mia produzione avrebbe potuto superare il mio primo prodotto (che era destinato soltanto a 20 persone e non fu mai pubblicato su internet). Che vi devo dire? Sticazzi.

lunedì 9 marzo 2020

Iter Vehemens Ad Necem

Sì, sì, lo so che cosa pensiate che stia per dire. "So benissimo che state per dire Ex Videogiocatore, accidenti a te! Questo è un gioco del ventunesimo secolo! Non c'è spazio per sta roba qui dentro! Dunque sei così a corto di visitatori che ti stai aggrappando a roba che solo tu ritieni recente?" E invece non lo dico, tiè!

E ora voi tutti in coro direte Ex videogiocatore, in realtà lo hai appena detto parandoti il culo con la storia "so che pensate che io stia per dirlo e io non lo dico, gne gne gne!" A noi non ci sfugge niente!

Beh, che volete che vi dica? Bene così, ragazzi, top!

REAL NI🅱️🅱️A HOURS 😂😂😂 WHO TF UP SMASH THAT 👍 BUTTON 🔝

Il fatto è che io non ho mai specificato quando ho smesso di essere un videogiocatore. In realtà, dopo il liceo ho giochicchiato qua e là saltuariamente,  ma oggi ho voglia di parlare di questo gioco perché sì, è vero che è dopo il 2000 ed è il gioco più recente postato finora sul blog dell'ex videogiocatore, ma d'altra parte non posso rimuginare solo sulla mia prima infanzia, no? L'autoterapia deve essere in qualche modo olistica, e ridurre il campo del mio studio solo al periodo che finisce quando il tono della mia voce si è abbassato di un'ottava almeno, beh, mi darebbe un quadro incompleto.

lunedì 2 marzo 2020

Utopia: The Creation of a Nation (Seconda parte)

Nella scorsa puntata del blog dell'Ex Videogiocatore! 

 
Tette!


Carri armati alieni!

Magalli!

Jacobelli!

Pacharelli!

Ed ora, la conclusione!
  
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