Conosco la lingua inglese più o meno bene da quando ho memoria: nel senso che
non riesco a ricordarmi il periodo della mia vita in cui sentivo delle parole
in inglese o leggevo delle scritte in inglese e non avevo idea di che cosa
significa, un po' come accadrebbe adesso col cinese. Per questo devo
ringraziare mia mamma, che nella sua vita precedente alla pensione è stata
insegnante di inglese alle scuole alle scuole medie.
Questo ha fatto sì che, anche per il fatto che il giovane rampollo doveva
essere un investimento, oltre che un motivo d'orgoglio per la famiglia, fin da
quando ero all'asilo mi venisse insegnata la lingua d'Albione. La spinta a
quella che anni dopo sarebbe stata la prima delle tre "i" della scuola secondo
il berlusconismo (inglese, informatica, impresa) fu così forte che all'asilo
che frequentavo, quello gestito dalle suore, mia mamma si mise d'accordo con
le monache in modo da venire a farci qualche un'ora settimanale di lezione
d'inglese pro bono.
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Siccome non sapevo che immagine metterci, ecco il libro di inglese che avevo alle superiori, con la prof che parlava uno strano mix anglopugliese con cui perculava il povero Alessandro C. (quello dei simboli fallici disegnati sui libri e incisi sui banchi col cutter) |
La cosa che più mi faceva strano di questo era il
fatto che dovessi chiamare mia mamma teacher, come tutti gli altri, ma
non ho brutte memorie di questo, anzi.
Non vivendo io in Italia, ho la fortuna di avere i figli bilingui, perché
oltre all'italiano con noi parlano la lingua del paese in cui ci troviamo e
spesso veniamo corretti quando ci esprimiamo nella lingua degli abitanti
natii. La cosa
ci fa sorridere e la troviamo anche piuttosto ovvia. Negli anni 80, invece, un
bambino dell'asilo che parla anche inglese era un po' visto come un fenomeno
da baraccone. Ma non sono sicuro che nella mia famiglia d'origine
l'obiettivo fosse quello di sbandierarmi come un freak da circo a un pubblico
adorante. No, a posteriori penso che l'idea fosse più quella di far sì che mi
portassi più avanti possibile sin da subito nella grande escalation di
successi che sarebbe stata la vita di un bambino moderatamente intelligente
della metà degli anni 80: un'eterna competizione tesa a essere sempre il
migliore di tutti, e si fotta tutto il resto: una costruzione della piramide
di Maslow fatta a partire dalla punta, insomma.