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lunedì 13 agosto 2018

Hook (Seconda Parte)

Nella scorsa puntata del blog dell'ex videogiocatore!

Traumi infantili!
Tie-in di film in cui i personaggi non
assomigliano minimamente agli attori originali!
Traumi infantili!
Bambini che non cresceranno mai,
 da bravi gentiluomini inglesi!
...ed ora, la conclusione!



Bentornati a tutti con la seconda parte di un articolo che spero faccia incazzare un bel po' di gente, e che allo stesso tempo spero che non le faccia incazzare per il fatto di essere su un gioco adventure coi pirati che non è Monkey Island 2. A volte intrattengo il pensiero di dare "merda" a Monkey 2 giusto per vedere le reazioni sdegnate, ma questo sarebbe provocare per il gusto di provocare. Quando ci giocherò cercherò di spogliarmi dalla nostalgia e dall'antinostalgia, cercando di non cadere vittima dell'anti-antinostalgia eccetera. Divago, scusate.

La scorsa settimana vi ho parlato di James Matthew Barrie, l'autore del libro da cui è tratto il film da cui è tratto il gioco. Questa settimana, dunque è ora di parlare di Steven Spielberg, regista di Hook. Che dire? Che Spielberg ha avuto un'infanzia tribolata e un rapporto col padre pressoché inesistente lo abbiamo già detto. Che Spielberg, in combutta con il suo sodale George Lucas, sia stato un precursore del nostalgismo della cultura pop che tanto va di moda al giorno d'oggi è assodato: Indiana Jones e Guerre Stellari sono richiami ai serial del sabato mattina con cui Spielberg & Lucas hanno trascorso l'infanzia. Con questa premessa, era inevitabile che Spielberg dirigesse la trasposizione cinematografica del rivoltante pastiche di nerdismo retrò che è Ready Player One, dello schifoso bambino mai cresciuto Ernest Cline, ovvero quello che succede se prendi tutta la palta nostalgista spalmata per la rete e la condensi in uno stampino dalla vaga forma antropomorfa, e l'homunculus che ne esce si compra una delorean con il logo dei ghostbusters e si atteggia a profeta dei nerd. A ogni raglio di questo scarto umano non si può che rispondere in un unico modo: "TACI, MISERABILE!"

No dai.
Spielberg, dicevamo. Ecco: per quanto abbia fatto dei bellissimi film durante la sua carriera, non possiamo dimenticare quello che è il suo "peccato originale", che in realtà dipende anche da chi lo osserva. I critici cinematografici impegnati, quelli per cui esiste solo Fellini e Goddard, non perdonano a Spielberg di aver trasformato il filmmaking in una macchina da soldi, di aver reso popolare il concetto di "blockbuster" in screzio alla "New Hollywood" che stava sorgendo negli anni 70 e che con il floppone di "I cancelli del cielo" di Michael Cimino rinunciò a ogni velleità di superiorità culturale. Secondo la critica Molly Haskell, Spielberg è l'uomo che ha ucciso l'idea del cinema come una forma d'arte seria.

In realtà, secondo me, tutto questo non è un problema. Il cinema è un momento di escapismo, e spesso e volentieri si guarda un film per spegnere il cervello. Che male c'è nel creare prodotti che ci divertono e cercare di fare i soldi con quei prodotti? (Ecco, quando si fa i film come veicolo pubblicitario per il merchandising invece sono già più scettico).  No, il problema di Spielberg è il modo con cui infantilizza i film e gli spettatori. Intendiamoci, è sempre possibile andare a vedere film che cercano di essere un mezzo di interpretazione della realtà e farlo o non farlo è la scelta liberissima di chi va al cinema o scarica guarda un film a casa. 

Quello che voglio dire è che il rigetto dell'età adulta è il filo rosso che in qualche maniera emerge sempre dai film di Spielberg, ed è un dogma talmente affascinante, nell'ambito della sua poetica, che Spielberg cerca di rifilarcelo in ogni salsa possibile.

Il rigetto dell'età. Molti luminari hanno discusso
l'argomento, però, nel XIV Secolo, come si desume da [OMISSIS]
Che sia la nostalgia per l'escapismo dei serial televisivi del sabato mattina di Indiana Jones, che sia la visione della guerra come roba da adulti in "Salvate il Soldato Ryan" (non possiamo non pensare al soldato con le budella di fuori della sequenza iniziale che chiama disperato la mamma), che sia la gioia della scoperta e il "sense of wonder" delle grandi avventure vere o inventate che si vivono da bambini in E.T., Spielberg torna sempre lì, nell'idea che crescere sia il male e che solo nell'infanzia si trovi la magia che rende il mondo un posto affascinante in cui vivere. Il resto è tutto arido.

Una convinzione, questa, che fa sì che persino in "Lincoln" la morte del Presidente viene raccontata dagli occhi del giovane figlio Tad, che riceve l'annuncio della morte del padre mentre sta guardando a teatro "Aladino e la Lampada Magica". Taccio per decenza sulla bambina dal cappotto rosso, anche se in un momento di sobrietà, Spielberg ammette, in Schindler's List, che anche i bambini possono essere dei grandissimi stronzi. Per sua stessa ammissione realizzare la scena in cui i bambini tedeschi urlano "Andate via, giudei!" è stata faticosissima per il regista, che ha detto di essersi ispirato (indovinate un po') alla sua infanzia, in cui Spielberg si sentiva un reiettoo per via del suo provenire da una famiglia ebrea ortodossa.

Oy vey iz mir
Era dunque inevitabile che Spielberg, con il suo passato di ragazzo solitario, con un rapporto tribolato con il padre, che si chiudeva in se stesso a immaginare di fare il produttore per una casa cinematografica di nome "Playmountain" (traduzione dal tedesco di "Spielberg") prendesse Peter Pan, il bambino che non voleva crescere mai, e lo facesse finalmente crescere trasformandolo in un ultraquarantenne insoddisfatto (Spielberg aveva 45 anni quando uscì Hook). D'altra parte, Spielberg bambino aveva diretto una recita scolastica su Peter Pan, e in un'intervista ebbe a dichiarare "Mi sono sempre sentito come Peter Pan. Mi sento ancora oggi come Peter Pan. È stato molto difficile per me crescere, sono una vittima della sindrome di Peter Pan".

Cosa voglia dire, esattamente, non ci è dato saperlo: io do la mia interpretazione e siete liberi di contraddirmi, badando bene di non farvi accecare dalla vostra ammirazione per Spielberg come regista.

Secondo Hoffer (e voi sapete quanto io ami Hoffer, pur con tutte le sue contraddizioni) il passaggio all'età adulta avviene mediante uno o più riti di passaggio. L'inizio del lavoro, la perdita della verginità, il matrimonio, il servizio militare o persino una guerra. Pensate che Hoffer era favorevole alla guerra del Vietnam in quanto riteneva che desse a quella che, con grande ironia della sorte, verrà chiamata "la generazione perduta" il rito di passaggio che la generazione precedente aveva avuto con il New Deal e la Seconda Guerra Mondiale. Sul bisogno di un rito di passaggio collettivo non sono tanto d'accordo con Hoffer, ma l'idea che sia necessaria una prova simbolica  per passare dall'infanzia all'età della maturità la condivido pienamente. 

<3

Per inciso, nel mio personalissimo caso non ho alcun dubbio: il mio rito di passaggio è stato l'abbandono del Vecchio Paese (a dispetto dei sensi di colpa che ne sono conseguiti) e con un po' di introspezione posso dire che una delle cose che mi fanno più paura è l'annullamento di questo rito di passaggio e il ritorno alla realtà di una nuova infanzia mentale, senza apparenti sbocchi. Praticamente in questo sono l'AntiSpielberg.

L'impressione che ho di Spielberg da molti suoi film (compreso Hook) è che quelli che per noi sono  riti di passaggio, nelle sue storie costituiscano più semplici peripezie dell'eroe, in una visione della vita simile a una storia circolare, come la puntata autoconclusiva di uno dei suoi amati serial del sabato mattina.

Giusto per contestualizzare, vediamo un attimo quella struttura di narrazione che viene chiamata il "Monomito", ovvero quello che viene ritenuto il singolo modello per tutte le opere letterarie, di cui agevolo un comodo schema:

Che cos'hanno in comune Guerre Stellari,
 il poema di Gilgamesh 
e IVEONTE, la più avvincente epopea di ogni tempo?

Riconoscete tutti il "template", no? Qualsiasi film di supereroi si rifà più o meno al modello del viaggio dell'eroe. Il punto qui è che alla fine del viaggio, l'eroe torna nella situazione iniziale cambiato e più saggio. In molti film di Spielberg no, tutto sembra tornare esattamente come prima, pronto per la prossima puntata autoconclusiva (e d'altra parte non dimentichiamo l'influsso che hanno avuto su Spielberg e sul suo sodale Lucas i cosiddetti Saturday Matinee Serials). È lo stesso principio di Seinfeld: No Hugging, No Learning. Nessuno sviluppo dei personaggi, ma la storia finisce com'era iniziata. Nei casi in cui la situazione finale è cambiata dalla situazione iniziale, intravedo una certa riluttanza da parte del regista a cambiare lo stato del sistema. Lo stesso Hook, in cui il protagonista migliora alla fine, in realtà va considerato nell'ottica di una storia più grande. Peter Pan è Peter Pan, cresce, dimentica di essere Peter Pan, diventa miserabile, il film inizia, Uncino gli rapisce i figli, Peter Pan ricorda di essere Peter Pan, combatte contro Uncino, lo uccide, torna a casa coi figli, ma ora sa di essere Peter Pan! Più vecchio, ma col bambino interiore mai cresciuto che è bello sveglio!

Se a prima vista il messaggio sembra essere quello di non perdere il contatto col proprio lato bambio (giustissimo), qui abbiamo un uomo adulto che rischia di essere sopraffatto dalla potenza di questo lato bambino ed è pronto, in un nostalgismo amplificato, a mandare tutto affanculo e vivere nella neotenia psichica come se nulla fosse cambiato. Per quello che ne sappiamo, Peter Banning, tornato a New York, andrà giù di testa e vedrà nel suo capo un pirata e lo prenderà a uova marce in faccia, perché è così che ragiona Spielberg. O sei un bambino, o sei un pirata di professione. Non esistono vie di mezzo. Poi magari la moglie di Peter lo lascerà perché anziché essere un uomo e un padre per i suoi figli, starà tutto il tempo a cercare di cucirsi l'ombra ai piedi. A Spielberg delle conseguenze sembra non fregargliene nulla. 

Forse ho capito cosa si intende per la sindrome di Peter Pan che dichiara Spielberg. In Hook, qualcosa che somiglia a un rito di passaggio c'è, ma il protagonista sembra ignorarlo. È la ritenzione forzata dell'innocenza di cui parlavo la scorsa settimana. È il ricevere una lezione dalla vita ma non farci caso perché è troppo occupati a scrivere su internet di quanto si sta piangendo mentre ci si rilegge il catalogo Mattel del 1988. 

C'hai 40 anni perdìo
Sulle recensioni del film che si leggono su internet (in realtà penso principalmente a quella sul blog delle prefiche che tanto prendo per il culo su questi pixel), il significato profondo del film è che bisogna opporsi a chi ci dice che dobbiamo crescere troppo in fretta. Ma onestamente, chi ce lo ha mai detto? Togliendoci dagli occhi il prosciutto del vittimismo, possiamo veramente dire di vivere in una società che ci costringe a forza a diventare grandi? E soprattutto, troppo in fretta? La biologia ci fa crescere, il nostro cervello cambia, e vogliamo veramente credere che possiamo fuggire dalla responsabilità e delegare ogni scelta difficile alla famiglia d'origine a 30 anni così come a 10? Molti, secondo me, sperano di ingannare il tempo che passa costruendo un grottesco simulacro della propria infanzia e sperando che nessuno si accorga che il tempo è passato. Nella commedia originale di Barrie (citata anche dal film), Campanellino cade a terra priva di vita, e per resuscitarla, il pubblico deve urlare "IO CREDO NELLE FATE!" con Peter che li incoraggia a dirlo più convinti. Ecco, il nostalgismo per me è urlare "IO CREDO NELLE FATE!" sperando che credendoci a sufficienza il tempo torni a quando non era necessario decidere per noi e accettare la possibilità di andare incontro alla presa di responsabilità. Questo non è possibile. È possibile (anzi, è auspicabile) affrontare l'età adulta mantenendo la curiosità e l'entusiasmo che un bambino può avere (e anche lì, dipende dal bambino). Cercare di ingannare il fatto che si sia adulti creandosi una realtà illusoria è narcisistico, è sbagliato ed è persino dannoso per le persone che ci circondano.

In conclusione, non mi aspetto una funzione didascalica dal cinema di escapismo (è appunto semplice divertimento), ma per favore, smettiamo di attribuirgli chissà quali messaggi profondi, perché onestamente non ci sono.  Personalmente sono già soddisfatto quando non viene usato come veicolo per vendere giocattoli a collezionisti seriali. Di certo, se avete bisogno di un film di Spielberg per capire che diventare padre è una cosa che ti cambia la vita, allora forse dovete veramente dare una riordinata alla priorità (mentre lo fate, chiamo i servizi sociali).

E ora che è finito il pippone per incendiare un po' di code di paglia, torniamo al gioco. Eravamo rimasti che Uncino aveva costretto Peter a zompare in acqua. Scena che c'è anche nel film, e che si svolge così:

Ovviamente al tempo non c'era niente di più arrapante dell'idea
della respirazione bocca a bocca da parte di un prodotto semi-ittico in topless
Riuniamoci dunque a Peter "Pan" Banning sul fondo dell'oceano, aspettandoci torride scene di umido sesso con le sirene come fossimo in Denarius Avaricius Sextus.


Che delusione, ragazzi. Non solo le sirene non ci fanno la respirazione bocca a bocca con la lingua, ma stanno lì impalate a fare il saluto romano mentre Peter, i cui vestiti da pirata erano evidentemente biodegradabili, respira sott'acqua senza problemi, meglio ancora di Guybrush Threepwood, il cui record ricordiamo essere 10 minuti.


Mentre le sirene con ittica veemenza sussurrano "A chi l'Isola che non c'è? A noi!" Peter deve fare tutto da solo, e con l'appendiabiti rubato alla vecchia cagacazzi va a rimestare con un ingranaggio collegato a una corda, che è collegata a una carrucola, che è collegata a un conchiglione non dissimile da quello che nel film era un contatto "pesce a pesce" tra Peter e la metà squamata delle sirene. Qui è semplicemente un ascensore che ci fa uscire dall'acqua...


...fino a una depandance dell'Isola che non c'è, che prontamente esaminiamo e in un tripudio di marroncino sbiadito osserviamo *squillo di trombe* LO SCROLLING! Immaginatevi la copiosa eiaculazione di un recensore dell'epoca. Bleah. Passiamo avanti...


...ed andiamo nella foresta. Giriamo un po' a caso perché non è presente alcuna mappa mascherata da lezioni di ballo. Vedo in questo gioco un tentativo di copia di Monkey Island, ma estremamente tirato via. Però lo scrolling! Passeggiamo un po' alla cazzo e...


...e cadiamo in una trappola appesi per i piedi (eviterò di fare battute sul fatto che probabilmente la trappola era stata preparata per le due sirene). Campanellino ricompare dopo essersi fatta i cazzi suoi per un po', e ci dice cosa dobbiamo fare: convincere i ragazzi perduti che Peter Banning è Peter Pan! Facilissimo.


Entriamo nel covo dei piccoli cagacazzi che tanto ricordano "Gli Intoccabili" dell'orrido e grottesco film "Ci hai rotto Papà" di Castellano&Pipolo, con i "bambini perduti" di Roma Prati (tra cui un giovanissimo Elio Germano) che urlando "Guerra ai grandi!" fanno scherzi sadici e violenti agli adulti, roba a livelli di "Salò o le 120 giornate di Sodoma". Uno di questi bimbi è lo scienziato del gruppo che sta cercando di caricare il suo supertecnologico lancia-uova marce, ma non ha le uova. 


Nel covo dei Bimbi Perduti c'è pure una palestra. Perché nulla dice "gioco da bambino" come fare la cyclette e i pesi come uno borghese di mezza età che si è fatto l'amante e spende 150€ al mese per iscriversi in palestra e farsi fare i massaggi. (Sto parlando di numerosi miei colleghi, ovviamente).


C'è anche un lago con un albero in fondo. Campanellino sta lì a farci da mental coach. Credi in te stesso! Pensa ai tuoi pensieri felici! Volere è potere! Compra il pacchetto introduttivo Amway™ e scopri come fottere il sistema leggendo "Papà ricco papà povero" del noto truffatore Robert T. Kiyosaki! E già che ci sei butta tutti i tuoi risparmi nell'ICO della mia nuova criptocurrency, TinkerCoin!


Scusate. Sempre girando per il rifugio di Elio Germano e soci, arriviamo alle Quattro Stagioni. La musica in sottofondo è sempre la stessa, e purtroppo non abbiamo un medley di Vivaldi, ma pazienza. Suoniamo una conchiglia che abbiamo trovato nascosta nella conchiglia ascensore e la gallina che abita nelle Quattro Stagioni si mette a svolazzare, dimodoché le freghiamo le uova. Immersione rovinata: il pollo non caga.


E niente, abbiamo le uova, le diamo al giovane startupper, che in cambio ci dà un elastico. Dopo gli enigmi decenti della prima parte, ora siamo al più bieco dei do ut des, e io mi sono rotto i coglioni, ma preso dalla verve completista vediamo di finire sto gioco. Abbiamo un elastico, che ci facciamo? 


Andiamo a riparare la fionda con cui allenarsi per il volo. Chiediamo al "fiondarolo" conferme, e lui ci risponde come un Tony Robbins nano e senza la faccia sputtanata dall'acromegalia. "Credi in te stesso!" e come un altro coglione con "guru motivazionale" sul biglietto da visita, James Altucher, cerca di venderci le sue cryptocurrencies. Ho già fatto questa battuta. Ok, andiamo ad allenarci nel salto...


E hop! Al di sotto c'è il bambino cicciottello che nel film rotola su se stesso come un "burdigone", che è un'espressione del Vecchio Paese per dire "Scarafaggio" ma lo si diceva anche di gente  dall'aspetto tondeggiante. Anche lui la solita menata motivazionale. Pensa ai pensieri felici! Peter si figura tirare una riga di coca posta sul pube di Donato Broco detto "Patrizia", che già tanti pensieri felici diede a Lapo Elkann. Stranamente, non funziona.


E vabbè, allora proviamo con la fionda. Peter finisce nel fango e non si spacca l'osso del collo, ed è già qualcosa, ma i pensieri felici non sussistono, e allora chiediamo ispirazione...


La versione "coloured" del piccolo Lucio di "A me me Piac' a Nutell" ci confessa che il suo pensiero felice è sua madre. Mentre quelli di Tootles, un ex bambino perduto ora vecchio che vive con Wendy a Londra, stando al film, sono le sue biglie. Questo è un gioco di parole, visto che il vecchio è bello che rincoglionito, e in inglese essere in preda alla demenza senile si dice anche "To lose one's marbles", perdere le biglie. Ecco questa è una nuance del film che si è ovviamente persa nella traduzione, e che di certo i blog con "20 cose che non sapevate su stocazzo" non vi dicono.


E a sto punto, che si fa? Niente, vado nella sala da pranzo dei bimbi perduti, dove tutti si stanno masturbando lo stomaco fingendo di mangiare, e inizio a insultare il loro capo, Rufio, anzi Ru-fi-oh! che detto così pare uno di quei giochi di carte che fanno il verso a Magic: the Gathering e se è possibile riescono a fare ancora più cagare di Magic: the Gathering (che almeno le carte hanno dei disegni fatti bene).


Alla fine lo scambio di insulti (che segue pari pari la scena analoga del film ma con il 200% in meno di tempi scenici) termina con l'insulto finale, ovvero Peter che, prendendo spunto dal repertorio di volgarità dell'Altopiano delle Murge, invita Rufio (che qui non ha i lineamenti asiatici come nel film) a succhiare il *naso* a un cane morto. Improvvisamente compare il cibo e quella che nel film è la scena in cui capiamo che Peter Banning è di nuovo sulla strada per tornare ad essere quello che era, qui è una roba noiosissima. E mò?

Più tardi.


Giro a vuoto fino a quando non mi rompo i coglioni, perché non ho più nulla da fare, magari Campanellino ha qualche suggerimento. Nel posto dove di solito c'è la fata, stavolta non c'è nessuno, ma una specie di biglia, in sfregio a qualsiasi legge della fisica, finisce sulla schiena di Peter, che vola dall'altro lato del lago. Nessuno mi spiega cosa sia questa biglia, ma onestamente sono giunto a un punto in cui non me ne frega niente.


Infatti finiamo in un'alcova che pare la casa sull'albero in cui inizia Legend of Kyrandia (ve lo ricordate?) ma infinitamente più sbiadita. Piano piano le memorie tornano a Peter. Gianni e Michele hanno dormito qui! Esclama Banning. A proposito, che fine hanno fatto Gianni e Michele? Nel film non ci sono...


"Un focolare bruciato. IO stavo qui e suonavo i miei flauti" Ah bene, la memoria è magicamente tornata! Se stiamo a quello che dice Proust, sono gli odori lo stimolo più potente alla rimembranza nostalgica. Mi piace pensare che l'odore che ha innescato il ricordo a Peter sia la puzza di stantio che gli ricorda la gara di peti tra lui, Gianni e Michele, con Wendy che scuoteva la testa scandalizzata.


E alla fine il colpo di grazia. Uncino ha distrutto tutto, quando Peter se n'è andato, e come se non bastasse, Peter, tieni pure questo! "Taddy. Ohh. Taddy." dice Peter facendo trasparire un livello emotivo inesistente. È il tuo orsacchiotto! Ogni bimbo ha un orsacchiotto! Io ce l'ho avuto, mia moglie ce lo ha avuto e anche Sinjin Malvineous Giulio (non è il suo vero nome) ce l'ha, nonostante in questo periodo preferisca il peluche a forma di pompiere dei Playmobil, che abbiamo chiamato Hans (è un playmobil, quindi è tedesco).
Guten tag!
Insomma, il peluche è la goccia che fa traboccare il vaso e finalmente, finalmente, tutto prende forma!


"MI RICORDO MIA MADRE" dice Peter.

Guten tag!
Campanellino accompagna l'imbolsito Peter Pan in un viaggio a ritroso nel passato, per ricostruire il trauma. E indovinate un po' qual è il trauma?


La madre di peter! Ebbene sì! Finiamola col mito dell'armonia della famiglia, in cui ogni cosa è sempre e comunque perfetta se stiamo con mamma e papà! Esiste la possibilità che i nostri genitori ci lascino addosso delle ferite che nascondiamo a noi stessi e ci impediscono di svilupparci in maniera sana! Beh, nessuno è perfetto quindi i traumi sono inevitabili, ma rileggete l'articolo della settimana scorsa sulla mamma di James Matthew Barrie. Pensate alla mamma di Peter "Banning" Pan, un'arrampicatrice sociale che che già pianificava l'iscrizione del figlio alle migliori scuole d'Inghilterra mentre questo era ancora in carrozzina. Questi sono traumi già belli più grossi, no? Ci credo che Peter non vuole crescere! Le "Grammar School" inglesi d'elite! Santa polenta, questo rischia di venire costretto a infilare i genitali nella bocca di un maiale morto!


Insomma Peter neonato scappa di casa, finisce all'isola che non c'è, impara a volare e va a trovare Wendy ed ha una testa vergognosamente piccola, o è Wendy che ha una testa enorme? Non lo so. Insomma com'è come non è, Peter continua ad andare a trovare Wendy che diventa sempre più vecchia, figlia e diventa pure nonna. Peter si innamora di Moira, la nipote di Wendy. Il nome completo di Wendy, secondo il film Disney è Wendy Moira Angela Darling. Praticamente come se i figli di Paolo Cirino Pomicino avessero chiamato loro figlio "Cirino Cirino Pomicino". Quasi, dai.


È lì che Peter decide di crescere perché il richiamo della fregna è più forte. "Ah!" Direte voi "Il rito di passaggio!" Forse, però è un rito di passaggio incompleto, e sapete perché?


Perché sto benedetto stronzo che non è altro aveva bisogno della seduta dalla dottoressa Campanellino per ritrovare i pensieri felici, che erano semplicemente i figli! Porca merda che fastidio. Cazzo, sei Robin Williams, sei doppiato da Carlo Valli, è OVVIO che i tuoi pensieri felici sono i figli. Ma ancora più semplicemente, sei padre, ti hanno rapito i figli, ti dicono di trovare pensieri felici, e ci metti tutto sto tempo per capire che sono i figli i tuoi pensieri felici? Perché sei un padre di merda, un narcisista vanitoso del cazzo, che si ricorda dei figli solo quando c'è da farcisi il selfie scrivere su facebook "AMO LA MIA FAMIGLIA!!!11!!". 

Un ipocrita del cazzo che appena tornerà dall'Isola che non c'è sua moglie chiederà immediatamente il divorzio, a ragione, e otterrà l'affidamento dei figli. E lui a frignare nel suo spazietto online fatto di una grottesca ricostruzione della propria infanzia felice, nutrendosi delle parole di affetto nei commenti. "Peter, io non posto mai sul tuo blog ma è come se ti conoscessi da sempre e ti mando un grande abbraccio, PERÒ NELLA LISTA DELLE MIGLIORI SIGLE DEI CARTONI ANIMATI HAI DIMENTICATO LA SECONDA VERSIONE DI SAMPEI  FATTA PER LE REPLICHE SU TMC NEL 1995 questo mi ha un po' deluso, ma ti considero comunque un amico"


Ohhhh! In basso a destra, l'occhialuto Peter Banning è diventato il truzzo Peter Pan, con i capelli dritti e senza occhiali, un po' come i bambini delle pubblicità che da secchioni diventavano cool togliendosi gli occhiali e scompigliandosi i capelli. Un po' come le donne che con gli occhiali e i capelli raccolte erano dei cessi inguardabili e sciogliendosi la chioma e disocchialandosi diventavano delle gnocche da stracciarsi i pantaloni. Intanto Rufio ci consegna la spada dopo uno scambio di battute che non mi sono curato di riportare, e andiamo da Uncino per la sfida finale. "Peter Pan?" chiede il pirata.


"Peter Pan il vendicatore!" rispondiamo noi, e la tragica verità è che il gioco si conclude con un duello a insulti come in Monkey Island 1, con la differenza che non c'è una logica dietro gli insulti e le risposte, ma si sceglie a caso finché non si avanza. Tanto è impossibile perdere. Triste, eh?


"Sei in buona forma Giacomo", che è la traduzione sbagliata di "Good Form", intesa non come forma fisica, ma come la "buona forma" di cui parlavo la scorsa puntata. Sospiro.


Arrivati a fine della barca, ecco i due figli di Peter. Andiamo a casa, dice Maggie, la figlia. Jack, il figlio che Uncino ha reso una copia di se stesso, è d'accordo. E su questo momento in cui Uncino ha trasformato Jack Banning in un Mini-Uncino, mi sento di dire che Spielberg sembra darmi ragione su quel che ho detto la scorsa settimana a proposito di Uncino come padre degenere che mette il figlio su un piedistallo e lo trasforma in un monumento a se stesso.

Papi Banning ha un momento di clemenza e decide di lasciar andare Uncino, ma Uncino non è d'accordo, e si combatte fino alla fine! O meglio fino a quando, a forza di tirare a caso, non vinciamo noi.


Ed eccoci di nuovo qui, a camminare sull'asse, ma stavolta Peter è di nuovo Pan e non più Banning. L'ultima tappa del monomito sta per compiersi, e nella storia circolare che inizia con la commedia di Peter Pan di Barrie e finisce con questo film/gioco, la situazione iniziale del bambino che non vuole crescere mai è ristabilita. Certo, è più alto, ma la personalità è di nuovo quella dell'eterno bambino. E i figli? Comparse.


"Peter pan il vendicatore!" è la nostra ultima risposta, e Uncino finisce in pasto agli squali. O in braccio alle sirene balilla, che gli fanno la respirazione bocca-a-bocca eccetera eccetera eccetera. Il gioco finisce qui coi titoli di coda, nessuna sequenza finale (in effetti possiamo immaginare che la sequenza finale fosse quella della memoria di Peter, e questo duello fosse un'appendice come le sequenze post-credit dei film della Marvel. Sticazzi, ragazzi, sono molto affaticato. Spero che abbiate capito qualcosa su voi stessi leggendo questi due articoli. Di certo a me ha aiutato molto scriverli. Prossimo gioco!

È merda? Sì. A dimostrazione, per tutti i fan delle avventure punta-e-clicca che rimpiangono un passato in cui questi giochi erano mainstream, che spesso e volentieri usciva della grandissima merda, e questa grandissima merda non era solo fatta dalla Sierra. Perché apparentemente i nostalgisti degli adventure lo sono principalmente per la Lucasfilm/Lucasarts, e la grande rivale Sierra per loro era merda a prescindere. Ma grazie a Dio il tempo di queste guerre ideologiche è finito da mò.

Ci rigiocheresti? Dipende quanto mi pagano per farlo.

È uscito nel 1992. È il gioco più bello di sempre? Ma vaffanculo, và.

Oh, io devo chiederlo. Ho capito, ma no.

7 commenti:

  1. "È possibile (anzi, è auspicabile) affrontare l'età adulta mantenendo la curiosità e l'entusiasmo che un bambino può avere (e anche lì, dipende dal bambino)".

    Bella questa massima, mi trovi d'accordo; ben consapevole che è una questione di equilibri (il bambino che è in noi non può naturalmente prendere il sopravvento su di noi, lapalissiamo dirlo, ma ormai l'ho detto). Ho apparezzato molto anche la tua analisi spielbergiana, precisando che io non sono né fan né tifoso suo.

    Il gioco: apprezzabile la grafica (molto bella la panoramica dell'isola che non c'è), ma mi sembra veramente noioso, con il clou rappresentato dal combattimento finale, veramente terribile.

    ps. Ru-Fi-Oh è l'unica scena che ricordavo di Hook prima della lettura di questo post: quando Uncino chiamava Rufio - scandendo così il suo nome - invitandolo al duello finale e fatale per il capo dei bambini perduti.

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    1. Son contento che ti trovi d'accordo su quella cosa che ho scritto. Ma ti trovi anche d'accordo sulla frase immediatamente successiva? Leggendo altrove (ovviamente mi riferisco al blog delle prefiche che prendo sempre in giro qui) mi sembra che non si capisca proprio (o che non si voglia capire) che cercare di ricreare artificiosamente l'infanzia è un esercizio inutile e dannoso (ed è anche la ragione per cui non si sente più la "magia" di certe cose che ci piacevano un tempo, che sia Spielberg, che sia altro). Boh.

      Dante Basco, l'attore che faceva Rufio, è sparito dalle scene e fa solo ruoli minori (oltre ad aver ingoiato uno scaldabagno intero, vedo dalle foto recenti). Ennesimo caso di attore bambino che non riesce a confermarsi in età adulta, e allora veramente meglio fare come Peter Oliphant, che fu attore bambino e in età adulta ha fatto Lexi-Cross

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    2. "Cercare di ingannare il fatto che si sia adulti creandosi una realtà illusoria è narcisistico, è sbagliato ed è persino dannoso per le persone che ci circondano".

      D'accordissimo anche su questo e lo sai bene :). Aggiungo questo, scusa la lunghezza dell'esempio.

      Mio nipote adora le tartarughe ninja, come suo zio all'epoca.

      Suo zio prova piacere nell'andare nel negozio di giocattoli, come da bambino, e a scegliere il giocattolo in base alle indicazioni del nipote, ma non solo.

      Lo zio si fa volentieri un giro tra gli scaffali e vedere i giocattoli di oggi, ovviamente in base a quelli che gli piacevano da piccolo.

      Quando lo zio dà al nipote i giocattoli delle tartarughe, lo zio è felice perché il nipote è felicissimo e lo zio guarda con curiosità la scatola (il packagin', ahahah) e poi si fa dare in mano il pupazzetto per vederlo.

      Fine.

      Non prova affatto piacere, non ha ovviamente lo stimolo a mettersi a giocare con quei pupazzetti. Lo fa un po' per il nipote ma poi si rompe le scatole, se posso dirlo :D.

      Altro aspetto da te sottolineato più volte: al nipote piacciono le tartarughe ninja e i Transformers, ma i Power Rangers gli fanno schifo :D. Quindi non gli ho mai comprato un Power Rangers, ovviamente, né l'ho forzato a guardarli. Mio nipote guarda cartoni animati che a me fanno schifo, ma certo non gli impongo altri cartoni perché devono piacere a me e se sono con lui mi guardo i suoi cartoni schifosi, spesso sbadigliando :D

      Ed è giusto così

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  2. I fan delle avventure grafiche se lo ricordano benissimo quanto fosse pessimo Hook e non lo rimpiangono, anche se lo scrolling...

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    1. "in tempo di carestia ogni buco è galleria", e sono certo di ricordare post su un newsgroup uscito nei primi anni 2000 (quando c'erano Real Time Strategy e First Person Shooter avevano fagocitato il mercato quasi per intero) che riuscivano ad avere nostalgia per qualsiasi cosa avesse un cursore del mouse e una lista di verbi, inclusa sta roba.

      E in più le riviste di settore del tempo di certo non sono andate sotto l'80% nel voto finale (non ci andavano quasi mai) quindi non faccio fatica a immaginare qualche parvenu che non avendoci mai giocato, per stare sul sicuro, lo incensasse.

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  3. So che stiamo cercando il pelo nell'uovo, comunque da trentenne appassionato di cinema e videogiochi aggiungo giusto che Robin Williams in Hook era doppiato dal grande Marco Mete (che secondo me sapeva restituire intensità alla pari del buon Valli, da bambino li scambiavo spesso). Tootles aveva perduto le sue "rotelle", come dice lui stesso gattonando all'ultimo e ripetuto dal rotondo Carambola, una traduzione che nella sua bizzarria mi sembra ancora oggi azzeccata.

    Gianni e Michele? Beh, erano morti XD

    Non ho mai giocato a questo titolo ma ho rivisto il film di recente con la mia compagna in dvd: i ricordi si perdono a quando Hook passava in tv e mio padre mi iniziava a Wolfenstein 3D in Pc Speaker... Solo da adulto ho focalizzato quanto l'ultima parte del film (da quando Peter ritorna Pan) diventasse nettamente più debole rispetto a quanto costruito faticosamente fino a quel momento. Comunque resta molto evocativo, ignoravo i background di Barrie e Spielberg.

    Ho scoperto il tuo blog per caso, mi piace molto il tuo stile e mi diverto a rileggere di tanti vecchi giochi, alcuni sepolti nella memoria... piano piano li recupererò tutti :D Complimenti!

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    1. Grazie dei complimenti! Benvenuto e mettiti pure comodo. Grazie anche delle precisazioni, che sono sempre le benvenute, e per le quali vinci un sigaro.

      La traduzione "rotelle" è piuttosto azzeccata e la dice lunga su quanto gli adattatori italiani fossero veramente creativi a un certo punto della storia. E Mete e Valli sono senza dubbio intercambiabili, si vede che hanno entrambi nel cv "Voce perennemente sull'orlo delle lacrime".

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