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giovedì 4 febbraio 2021

Ultima VI - The False Prophet (Appendice)

 Sì, lo so, ho finito l'articolo e ho terminato il gioco, seppur gabolando. Ma mi rendo conto che, al di là del mostrarvi il gioco, volevo ripensare un attimo alla mia sfiga del tempo, e insultare Richard Garriott. Di certo c'è una cosa che penso di aver tralasciato, sia nell'articolo su Ultima 6, che nei precedenti articoli sui precedenti Ultima. Il fatto è che vi ho raccontato come mi identificassi, nel mio mondo interiore, con il protagonista, l'Avatar, l'incarnazione di tutto ciò che è buono e virtuoso e che funge da guida spirituale per una pletora di sfigati che lo adorano. Ok? Ok.

guidatemi STOCAZZO

Beh, è molto facile liquidare questa pulsione di protagonismo come un momento narcisista di un preadolescente sfigato che sta venendo preso a sberle dall'età in crescita (come è normale che sia), mi sembra giusto, nel contesto di un esercizio di autopurificazione come questo blog, cercare di capire che cosa mi avesse spinto a richiudermi in me stesso e proiettare le mie fantasie di potenza su un gioco di 4-5 anni precedente al di là dello stare ad osservare, con distacco e un certo orrore, cosa mi passasse per la testa a metà degli anni 90.

In precedenza ho scritto che quando mi trovavo in quel periodo dell'adolescenza e avevo in quella che ho chiamato "La grande biforcazione", ovvero il momento in cui si scopre che noi abbiamo la nostrA personalità definita che diverge da quella che magari vogliono per noi i nostri genitori. 

Ecco, non credo sia soltanto questo: se fosse così sarebbe una cosa troppo comune e molto più descritta "in letteratura". Sia chiaro, sono certo che tutti da ragazzini si siano immaginati nel ruolo di supereroi o simili, perché comunque la fantasia è parte integrante dell'infanzia e una bella stampella nel passaggio verso l'adolescenza, ma io credo che in questo esercizio avessi toccato livelli quasi malsani.  Con il senno di poi posso dire che a volte ero veramente completamente distaccato dalla realtà. 

escapismo

La mia vita era molto noiosa ai tempi (lo è tuttora, con la differenza che ora sono contentissimo della routine) però persino a me potevano capitare dei momenti "di svolta", per così dire. Dei momenti importanti, dei punti storici, delle "milestone", come si dice nella gestione dei progetti.

In quei momenti non ragionavo soltanto come l'ex videogiocatore che stava affrontando la vita, ma c'era sempre una parte del mio cervello che soppesava parallelamente come avrebbe affrontato l'ex videogiocatore nei panni dell'Avatar. Penso, chessò, a una volta che feci a botte con con un mio compagno di scuola. Penso a quella volta che ebbi il mio momento di gloria facendo da turnista come Tony Levin, in più o meno tutti gli spettacoli di fine anno della scuola media. Penso al funerale di mio nonno, in cui sono abbastanza certo di aver detto a me stesso di non piangere, perché un avatar non piange. Mi sono profondamente vergognato di quel pensiero subito dopo, ovviamente, ma il solo fatto che pensieri del genere mi siano passati per la testa sono qualcosa di abbastanza agghiacciante.

E quindi questo modo di pormi al mondo non può essere solo una forma di narcisismo che serve a mantenersi con uno straccio di autostima anche di fronte all'evidenza di essere un sesquipedale sfigato, e dei sensi di colpa che conseguono dall'essere sfigato, e poi i sensi di colpa che conseguono dall'aver superato la sfiga.

la sfiga


Cioè, tutto questo contribuisce, eh, sia chiaro, ma c'è qualcosa in più. Il fatto è che rigiocando a Ultima 6 ho colto il messaggio antirazzista estremamente goffo e maldestro da parte di Richard Garriott. I gargoyle sono brutti e sembrano cattivi, e stanno invadendo Britannia per disperazione perché il mondo sta crollando, inizialmente i Britannici sono quelli buoni ma alla fine non è così, diventiamo tutti amici, scurdammece o passat' e via. Richard Garriott è chiaramente una persona che non ha mai interagito con altre persone al di là delle superficie, cosa piuttosto comune nelle persone di successo, se diamo ragione a Granovetter il quale, nel suo saggio "La forza dei legami deboli" dice che si fa più strada in società con tante relazioni superficiali anziché con poche profonde. Dicevo, Richard Garriot è una persona superficiale e forse non ha mai capito la grande cattiveria che traspare dagli abitanti di Britannia.

oh eyo eh hum, come ti rendo la vita una merda?


Ho già detto una volta a proposito di Grand Theft Auto che secondo M. Scott Peck la malvagità umana si basa principalmente su due dei sette vizi capitali: la pigrizia e la superbia. Quando si è troppo superbi per mettere in discussione la propria morale, e quando si è troppo pigri per darsi da fare per la crescita spirituale, allora nasce il male, nasce la cattiveria. Ho imparato abbastanza di recente questa cosa, e continuo a riscontrarla ovunque vada. E trovo veramente agghiacciante come si cerchi di "clinicalizzare" la cattiveria umana quando invece è semplicemente una "qualità" di una persona. Si tende, al giorno d'oggi, a diagnosticare a una persona cattiva come "narcisista perversa", quindi si sottintende una persona malata, come se fosse esente da colpe, per quanto odiosa. Io sono d'accordo che la cattiveria se è possibile è qualcosa che deve essere guarito, come una malattia (soprattutto a beneficio di chi ne è vittima). Il problema è che la cattiveria non è una malattia: è una scelta morale, figlia di quella pigrizia e quella superbia che danno il via a un grandissimo inganno. 


Chi cade nel grande inganno ha il doppio ruolo di vittima e carnefice: si trova a manipolare sia gli altri che e se stessi, creando un'enorme cortina di fumo per evitare un proprio percorso di crescita spirituale, che è necessario ma che è anche qualcosa di estremamente faticoso ed estremamente doloroso. Provateci voi a farvi crollare intere colonne portanti delle vostre certezze per poi ricostruirle! 

colonne portanti

È come giocare a Jenga con la propria psiche, con i bastoncini che pesano un quintale l'uno. Dunque è chiaro che si cerca la via più semplice. Ma la strada meno percorsa (come la poesia di Frost, sì, e a differenza di quel film con Robin Williams non è una metafora dell'anticonformismo), se una persona vuole ritenersi veramente decente, prima o poi deve intraprenderla, e non è una strada semplice. Molto più facile inventarsi scuse. E qui ci ricolleghiamo a  un altro studio di cui ho parlato in questa sede, quello di Leon Festinger in "Quando la profezia fallisce" sulla dissonanza cognitiva. Ve lo ricordate? Ne ho parlato proposito di Zak Mckracken.

Ricapitolando, quello che è successo è che una sedicente sensitiva aveva previsto l'arrivo degli alieni in una certa andata e ci aveva montato sopra una specie di setta. Quando nella data prevista gli alieni non arrivarono, tutti i membri di quella setta iniziarono a raccontare a se stessi delle grandi bugie sempre più arzigogolate. Iniziarono a fare contorsioni mentali incredibili per convincersi che insomma che la realtà sia quella che si erano disegnati su misura.

In un certo qual modo il mio identificarmi nell'avatar era una cosa molto simile:  sono cresciuto in un mondo chiuso e molto reazionario, convinto che il mondo al di fuori delle sacre mura domestiche fosse qualcosa di estremamente ostile: persino con i miei migliori amici mi veniva detto di non fidarmi troppo perché erano sempre pronti ad accoltellarmi alle spalle.

Fidati di me Avatar, sono tuo amico io

Finestre sul mondo come il telegiornale erano accolte da commenti tipo "come ci godo!" di fronte una disgrazia, oppure "a cacciarsi una bomba!" di fronte a qualcuno che stava che stava meglio: era inevitabile che questo disprezzo nei confronti di tutto e tutti, in qualche modo, lo avessi mutuato pure io. E allora, come si collega in tutto questo tutto questo con un videogioco che a vederlo oggi, a 30 anni di distanza, non è poi 'sta gran cosa?

Ecco io penso che il concetto di "ex-videogiocatore-come-Avatar" abbia preso forma nella mia mente quando mi trovavo nel periodo della "Grande Biforcazione", in cui sì, è vero, gradualmente iniziavo a rendermi conto che non sono quello che faceva felice me non era quello che faceva felice le figure di autorità con cui ero cresciuto, ma soprattutto mi rendevo conto che il mondo era differente da come me lo avevano descritto. Quindi, credo che questa mia evocazione di un eroe non necessario sia stata un meccanismo di difesa da parte di quella pigrizia che è fondamentale per la cattiveria.

Molti perbenisti provinciali da questo e dall'altro lato dell'oceano, a intervalli regolari, si ripuliscono la coscienza convincendosi che storie improbabili di pedofili satanisti siano vere. Perché questo? Semplice: convincersi di essere crociati del bene che combattono il male più tremendo che si riesca a inventare (tramite post su facebook) è qualcosa che mette a tacere il dubbio ("sono BEN ALTRI i veri problemi!") ed evitarsi un faticoso percorso di miglioramento interiore.

i veri problemi

Allo stesso modo, io diventavo Avatar per sradicare il dubbio sul fatto che forse stavo diventando anch'io cattivo come certe persone con cui ero cresciuto e che sapevano solo odiare nella loro maniera ottusa e monotona. Ed è per questo che nelle mie fantasie usavo i poteri del protagonista di questo gioco per fare anche cose molto cattive, per risolvere le mie piccole vendette. Per sfogarmi contro chi percepivo come ostile, fosse una persona che conoscevo o qualcuno che, magari, appariva al telegiornale e il "cazégh na bamba" sibilato da mia nonna diventava per me un ordine. Praticamente il braccio armato dei vecchi di merda che mi avevano in qualche modo plagiato.

Vecchio di merda

Ed è per questo che, qualche anno fa, ho scritto su questo blog che, dopo aver trovato una forma di successo a modo mio molto differente da quello che si aspettavano le persone che mi giravano attorno da piccolo, in qualche modo, a un certo punto, stimolato da un grande spavento, l'Avatar interiore si è risvegliato da un torpore durato anni, e stavolta sembrava battersi contro di me, sperando nella mia caduta con la stessa cattiveria di una sezione commenti su un quotidiano online (che poi è la stessa malvagità che ho sempre riscontrato nei VdM). Avevo fallito la mia missione originale, avevo abbandonato la logica dell'odio, mi ero ammorbidito, ero diventato un buonista, togliendogli così ogni ragione di esistere. 

Una cosa spaventosa, prima che capissi che cosa stava accadendo. Ma per fortuna, guardando meglio, il falso profeta in cui mi ero immedesimato e che si stava ribellando a me aveva questa faccia da coglione.


E guardare il male in faccia e ridergli addosso è un bel modo per rimetterlo al suo posto, no?

4 commenti:

  1. AttualeVideogiocatore8 febbraio 2021 alle ore 14:28

    Ottimo "post" (non so nemmeno se sia corretto definirlo così), come al solito capace di far sorgere spunti e riflessioni. Ma cominciamo con ordine.
    Premetto una cosa: noto che citi spesso dei libri interessanti, poco diffusi in Italia, per cui devo ammettere che non ho le stesse competenze sociopsicologiche che hai tu; ti farò quindi un ragionamento più "terra terra".
    Io parto dal presupposto che colpevolizzare troppo quelli che tu chiami VdM, cioè l'ossatura dell'Italia anni Sessanta e Settanta (un'Italia, lo dicono tutte le statistiche, più istruita di questa, più solidale di questa, più sviluppata di questa praticamente in tutto, tranne il ramo tecnologico ovviamente). Erano, questi VdM della tua infanzia, persone che avevano conosciuto il fascismo sulla propria pelle e avevano visto che fine avevano fatto gli imperi millenari di Hitler e Mussolini. I più anziani forse avevano anche qualche reminiscenza della megalomania crispina. I più colti avevano capito che l'intellighenzia cominciava a predicare l'arrivo dei pensieri deboli e la fine delle grandi narrazioni, ma un po' tutti si erano resi conto che, per farla breve, lo spazio che scuole e università concedevano a D'Annunzio e Pareto diminuiva, mentre quello per Leopardi e Weber aumentava.
    E i grandi "crack" economici non erano forse causati da qualche imprenditore-manager che aveva deciso di fare il passo più lungo della gamba? Se i Giuffrè e i Craxi si fossero accontentati di ciò che avevano, non sarebbero finiti gambe all'aria; se Callisto Tanzi avesse parlato un po' meno con De Mita e un po' più con tua nonna, forse lo scandalo Parmalat sarebbe stato molto più contenuto.
    Sia chiaro: non sto giustificando questo modo di ragionare. Io odio i "moderati", ma li capisco. Li capisco perchè sono stati abituati a ragionare con il metro di giudizio del "piccolo mondo antico" e perchè hanno visto fiumi di inchiostro scorrere quando la rana allargava la bocca, mentre quando rimaneva a bocca chiusa (e quasi moriva di inedia) nessuno la calcolava.
    "Chi va piano, va sano e va lontano". Così è, se vi pare.

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    1. Grazie del commento. Non sono pienamente d'accordo con quello che dici, che è più "generalizzato" alle generazioni precedenti. Quelli che chiamo Vecchi di Merda sono individualità concrete, coi loro nomi, le loro storie, le loro miserie e le loro grandi frustrazioni. Sono vere persone che ho conosciuto e che mi hanno cresciuto con l'ipotesi di un mondo completamente ostile (ne ho parlato in questo articolo) che avrebbe fatto di tutto per farmi del male, e siccome io non ero sufficientemente scafato, e non lo sarei mai stato come loro, perché loro hanno fatto la guerra! (ci torno dopo) avrei dovuto fare esattamente tutto quello che dicevano loro, altrimenti, per citare un altro proverbio, "chi fa di propria testa, paga di propria tasca".
      Per fare felici queste figure pseudogenitoriali (dico pseudogenitoriali perché, pur non essendo i miei genitori, ce le ho avute tra i coglioni per tanto tempo durante la mia infanzia e preadolescenza) dovevo essere completamente perfetto, e anche lì, ogni cosa che andava storta era perché avevo sbagliato qualcosa io, e per questo essere il miglior me stesso non era sufficiente: io dovevo diventare l'Avatar. Allo stesso tempo, valeva anche quello che hai giustamente scritto: pur aspirando alla grandezza, ogni mio tentativo di emanciparmi dal V.P. e dalla cerchia protettiva del piccolo mondo antico era preludio a un fallimento, che con grande schadenfreude sarebbe stato commentato da un coro di "io l'avevo detto!"

      Questi sono i Vecchi di Merda: non necessariamente una condizione anagrafica, quanto mentale (non faccio problemi a indicare come VdM certi figuri dediti al nostalgismo online, che magari hanno solo 40 anni e sentono di averne 13 dentro di sé). Per quanto riguarda l'aver fatto la guerra, io capisco che ognuno gestisce certe cose come può, ma quello che mi si raccontava era una versione quasi vanziniana della guerra, unita al mefitico "mito del buon tedesco", con il contingente della Wehrmacht di stanza al Vecchio Paese che era gentile con la popolazione (e a pochi chilometri c'era stato Monte Sole) e sì, l'orrore c'era stato perché ogni sera arrivava Pippo a buttare bombe sulla casa, ma mai ho sentito particolari ragionamenti sulle cause, perché immediatamente prima della guerra era tutto perfetto, tra treni in orario e l'educazione fisica con le marcette militari il sabato mattina. Non proprio il ritratto di un'Italia migliore (mi sentirei di dire pure tecnologicamente, se pensiamo a com'era la Olivettifino agli anni 80).

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    2. AttualeVideogiocatore22 febbraio 2021 alle ore 22:31

      Scusa se ti rispondo dopo tanto tempo. Quello che io noto dalle tue parole è che sembra quasi che tu pensi che i VdM della tua infanzia-adolescenza l'abbiano fatto apposta a darti quegli insegnamenti provinciali e reazionari. Ora, io non li ho conosciuti, ma sono sicuro che l'hanno fatto per ignoranza (ristrettezza mentale) e non per cattiveria.

      L'Emilia, quando sei nato tu, era "paranoica", per citare i CCCP: sarà stato il reflusso nel privato, l'edonismo, la droga, l'imminente sconfitta del comunismo, forse altro o forse tutte queste cose insieme, ma dietro alle lasagne e ai tortelli c'era voglia di linciaggio (e ciò che hai scritto in passato sul clima che si respirava nel VP durante Tangentopoli - che poi si è ritorno contro lo stesso Di Pietro - lo conferma). Già nel 1981 Eco scrisse del “puteolente bisogno di morte” che imperversava a Bologna e dintorni: lo si vide prima nell'assurdo processo a Marco Dimitri (che è morto da poco, ed è stata questa notizia che mi ha spinto a risponderti dopo qualche giorno) e poi in quello ai Diavoli della Bassa. La necrofilia divenne la cifra caratteristica di un'Emilia (e poi di un'Italia, giacchè mi sembra che molto spesso Bologna anticipi culture e subculture che poi si diffondono nel territorio nazionale) che univa un antico bisogno di scovare l’eretico (era pur sempre un'ex provincia Pontificia) ad un'urgenza di morte come purificazione di chiara ascendenza catto-fascista. L'incapacità di accettare l'idea della inesistenza di una catena di causalità (legata ad un sostanziale bisogno del sacro) può produrre sia l'approccio irrazionale magico-esoterico, sia quello dell'inquisitore che cerca la vittima da immolare. Niente di strano che l'inquisitore cerchi di "salvaguardare", secondo la sua prospettiva, chi gli sta più vicino, il parente, il bravo ragazzo da salvare. Non voler male a tua nonna: era vittima di un clima infame (cit.), esattamente come noi.

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    3. Anch'io ho preso il mio tempo, mi rendo conto. Allora, vedo che hai avuto un approccio più sociologico che psicologico, e non hai torto sulla "benestante" Emilia degli anni 80 che sotto la patina di abbondanza nascondeva problemi gravissimi (pensa solo alle siringhe di eroina che si trovavano a bizzeffe nei giardinetti), ma hai scritto già tutto tu: anzi, da come hai scritto bene mi sentirei di suggerirti "magnottianamente" di iscriverti ai Wu Ming.

      Io mi limito ad osservare la cerchia dei vecchi con cui sono cresciuto, non necessariamente parenti, ma anche vicini, conoscenti, e gente del Vecchio Paese. Al di là del caso emiliano, l'esempio si estende per me più a un comportamento che abbiamo visto diffuso globalmente, dal "satanic panic" che comincia negli USA negli anni 70, ma pure i protocolli dei savi di Sion, fino al corrente QAnon: io quello che ci vedo sono persone che scelgono di non farsi domande, per pigrizia e per superbia, come dice M.Scott Peck in "People of the Lie" (che ho menzionato nell'articolo su Grand Theft Auto), scelgono di rifiutare di porsi domande difficili, quelle domande che lì per lì ti segano le gambe e ti tolgono le certezze, ma sono quelle domande che poi ti aiutano a crescere. Scelgono di rifiutare di porsi la domanda "ma non è che sto sbagliando io"? E la creazione di una realtà à la carte, in cui il resto del mondo fa schifo e noi siamo l'ultimo baluardo di virtù, ci aiuta a risponderci "no, sono gli altri che sbagliano" (tipo quel meme col preside Skinner "am I out of touch? no, it's the children who are wrong") Voglio credere che ci sia sempre la possibilità di redenzione, e tuttora auguro ai vecchi della mia infanzia che sono ancora tra noi che riescano a trovare quel barlume di energia che gli consenta di farsi quelle domande. Troppo facile dire che si è vittima di un clima infame, troppo facile commiserare. Non voglio cedere al "che ci vuoi fare, è fatto così" per accettare manipolazioni, umiliazioni, ricatti morali e meschinità varie specie quando a gente della mia generazione, è stato chiesto più o meno implicitamente di tendere alla perfezione per portare avanti in un mondo ostile lo stendardo di una famiglia, di un paese, di una cultura, di modo che loro potessero accumulare "vittorie" per interposta persona (un po' come Lord British con l'Avatar).

      È la grande fregatura di molti (non tutti, chiaramente) di noi figli degli anni 80: tutti i giocattoli, gli oggetti di consumo, gli stimoli intellettuali, tutto quanto, pensavamo che fossero espressioni di affetto (e probabilmente lo pensavano pure loro), ma in realtà era un investimento, e l'inculata è arrivata quando hanno iniziato a chiedere i frutti.

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