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giovedì 20 giugno 2019

Il più bel gioco a cui non ho mai voluto giocare - Ultima Underworld 2, la stampa di settore e il panopticon

Che io sia un videogiocatore pezzente lo sapevate già, no? Trovare qualche nuovo gioco, soprattutto recente, era uno sforzo per me sovrumano. D'altra parte, io non ero connesso con la gente giusta, chi era connesso difficilmente condivideva, e il canale "mainstream" (il negozio) era inaccessibile per via delle canoniche 99.900 lire (139.000 se distribuito da Halifax). Quindi? E quindi c'era l'edicola, da una parte c'erano i giochi più vecchi che uscivano in formato economico, c'erano le disdicevoli riviste di settore con i dischetti e successivamente i CD pieni di demo e shareware, e con quello ci si arrangiava. Ma diciamocelo, avere la cosa completa era inarrivabile, e arrivare alla fine di un demo giocabile era qualcosa che ci lasciava un grande amaro in bocca. Ma un amaro veramente cattivo. 

dunque non lui, l'amarissimo che fa benissimo
Insomma, prima degli equivalenti dei cataloghi postalmarket e di certe rivistine che si nascondevano dietro la scusa del palinsesto TV, c'erano le riviste di settore, che stimolavano la nostra fantasia. Almeno, stimolavano la mia. Specie quando i CD coi demo ancora non c'erano e per vedere com'era fatto un gioco, c'erano solo le foto sul cartaceo. 


Qualche settimana fa vi ho parlato di come, quando finalmente un mio amico mi passò Space Quest IV, era come se già lo avessi giocato tutto dall'inizio alla fine. Avevo letto recensione e soluzione tante di quelle volte che ormai avrei potuto recitare il gioco a memoria. E questo è un esempio, ma  non è di certo il più eclatante. Tempo fa, quando ho riletto K numero 50 per l'articolo che ne parla (leggetelo, è ok) ho trovato una sezione che avevo completamente dimenticato nonostante, a suo tempo l'avessi consumata. Nel precedente articolo non ne ho parlato perché sennò l'avrei tirata troppo lunga, e un post abbastanza scanzonato avrebbe preso una piega tendente al triste. Perché questo articolo è un po' meno allegro, e vabbè, fatevene una ragione o saltatelo a pié pari. Ma a volte a me serve mettere per iscritto certe cose, in modo da capirle meglio.

Si ringrazia bigboxcollection.com, la risorsa fondamentale per chi volesse costruirsi riproduzioni di scatole originali di videogiochi da usare come sfondo per il suo canale youtube.

A Ultima Underworld 2 non ci ho mai giocato. O meglio, ci ho giocato pochissimo quando stavo scaricando furiosamente dai primi siti "abandonware" tutti i giochi che non avevo mai avuto quando sbavavo sulle riviste di settore. Un po' ero sopraffatto dal numero strabordante di giochi che avevo scaricato, un po' non volevo giocare a un gioco in prima persona perché temevo i conati di vomito, un po' avevo paura che il mio inesistente senso dell'orientamento mi invalidasse l'esperienza, ma soprattutto avevo una gran paura di intristirmi, perché quel gioco a cui non avevo mai giocato lo conoscevo a memoria, tramite la sua soluzione letta su K fino allo sfinimento. (Si ringrazia, come sempre, Oldgamesitalia per lo scan).



La sezione della rivista che contenva la soluzione si chiamava  TNT, Tricks 'n' Tactics, curata dall'allitterativo Paolo Paglianti il quale, detto tra noi, in quella feccia che erano i redattori era uno dei meno peggio. Non cercava di fare il simpatico a sproposito con freddure degne del famigerato Sergio Paoletti di Topolino, né virava ogni recensione su di sé, né aveva quel senso di grandiosità che spesso e volentieri trasudava dalle righe delle riviste di settore. Poi il fatto che ogni mese pubblicasse una nuova soluzione di un gioco mi faceva veramente spavento: io che spesso e volentieri facevo fatica ad andare al di là della prima schermata. Molto bello anche che Paglianti sacrificasse un'ora del suo venerdì sera per rispondere alle domande dei lettori. Io non sarei stato in grado.


Prima di cominciare la soluzione, una brevissima descrizione di quello che è successo. In realtà non è spiegata la trama proprio benissimo. In realtà conoscevo ben poco della storia di Ultima prima di giocare al sesto episodio (quello sì, tanto, e prima o poi ci rigiocherò), al settimo, alla seconda parte del settimo, all'ottavo e poi a tutti gli altri chi più chi meno, spin-off compresi. Quando lessi questa storia di Ultima non avevo giocato a nessun episodio, e quindi estrapolavo. Quello che sapevo, era che il castello del buon Lord British era stato intrappolato da una pietra nera creata dal malvagio Guardiano, che noi eravamo un eroe chiamato Avatar, e ben poco altro. C'era una gemma magica, e la possibilità di viaggiare in altri universi paralleli. Ma nella Britannia che conoscevamo, non c'era via d'uscita dal castello.


 E il castello era pieno di figure più o meno amichevoli, che Paglianti corredava con screenshot e con una breve descrizione che vedete di seguito. Su questa pagina, lo dico senza esagerare, ci stavo ore. Perché c'era qualcosa che mi attraeva incredibilmente di quel mondo, di quegli screenshot bui e tetri di un castello ricoperto da un'enorme cupola di roccia nera, e ricattato da un malvagio essere onnipotente e onniveggente che si faceva chiamare il Guardiano, il quale aveva questo aspetto rassicurante qui.

ma ciao!


Guardavo le mappe dei vari mondi e le vedevo sconfinate, e per quanto volessi un gioco così, l'apparente lunghezza di quello che sembrava un gioco difficilissimo sconfinato. Io che ancora prima di giocare a un qualsiasi Ultima già mi identificavo nell'eroe protagonista, vedevo  'sto gioco impossibile da portare a termine. E la cosa mi metteva un'agitazione enorme.


Ma al punto che leggevo la descrizione della Sala del Trono di Britannia, con tutti i personaggi alleati con noi, e sapevo in fondo che se avessi avuto quel gioco, per me sarebbe stato difficilissimo allontanarmi dal luogo sicuro. Avevo 11 anni, ed ero stato indottrinato sul fatto che il mondo fuori dalla casa era orribile e pericolosissimo. Ne parlo spesso, perché ci penso spesso, e credo che, facendola sempre, le persone avevano questa visione del mondo lo facessero perché volevano sentirsi migliori e non dei buoni a nulla, perché non avevano avuto la spina dorsale di uscire dalla loro "comfort zone" e credo gli avrebbe dato molto fastidio vederne uscire me. I vecchi di merda che hanno cercato di rovinarmi l'infanzia si sono costruiti da soli la loro prigione, e cercavano di farlo anche per me.


Ed io che, come testimonianza del mondo esterno, avevo anche questa gente, non potevo che crederci. D'altra parte come dubitare? Questa era gente che diceva di volermi bene, di preoccuparsi per il mio benessere, e la cosa migliore per garantirlo era farmi vivere in uno stato di continua ansia, perché sennò avrei potuto abbassare la guardia e farmi fregare da quel mondo che a loro sembrava così ostile ma che tutto sommato non è che gli facesse più di tanto. Viene da credere che gente che aveva vissuto sotto la guerra avesse imparato a relativizzare le cose, ma a sentire quanto fossero belli gli anni in cui ci piovevano le bombe in testa rispetto al presente in cui ci trovavamo allora, coi politici che rubavano, gli albanesi che ci invadevano le spiagge, e le donne dell'est che distruggevano famiglie seducendo gli uomini italiani buoni ma tanto tanto ingenui, poverini. E persino nel piccolo del Vecchio Paese, bastava l'uscita sfortunata di qualcuno per far partire sessioni d'odio collettivo in cui ci si metteva in circolo e per ore si declamava tutto il male possibile dell'autore, ovviamente non presente, di quest'uscita sfortunata.

Io che talvolta ero costretto a sentirmi ste cose per la buona educazione, vedevo ancora tanti anni davanti a me, fatti di grandi sofferenze e uno stato di guerra eterna. "Eh, noi ormai siamo alla fine - mi dicevano - ma tu ne hai ancora di polenta da mangiare!"

Probabilmente è anche per questo che mi stimola il vaffanculo in automatico la nostalgia diffusa per l'idilio di un piccolo mondo antico che non c'è più, fagocitato da un mondo contemporaneo che va sempre più in merda. Lo vedo su facebook, lo vediamo sui siti di celebrazione del guaglionismo, lo vediamo nei blog nerdisti. Quasi tutte quelle persone che mi mettevano ansia oramai non ci sono più, ma il loro spirito sopravvive lì. Avessero avuto Facebook, ne sarebbero state dipendenti.


In questo gioco, l'Avatar riusciva a fuggire dal castello intrappolato nella roccia nera, rifugiandosi in qualche universo parallelo e lasciando gli abitanti del castello a guardarsi in faccia sospirando che non c'era speranza. Sì, mi rendo conto ora che era una bella metafora della mia situazione. Il Vecchio Paese era il mio castello imprigionato in una cupola nera, e gli universi paralleli erano quelli in cui mi rifugiavo nel mio escapismo. Magari è accaduto anche a voi. L'escapismo, specie se si è bambini, è qualcosa che ci sta senza problemi. Io mi rendo conto che rischiavo di esagerare, e a volte penso di essermi trovato a tanto così da disconnettermi da una realtà piuttosto banale che mi era dipinta come intollerabile.

Il primo degli universi paralleli che avrei potuto visitare era la Goblin Tower, un universo in cui il Guardiano aveva permesso ai goblin di sconfiggere gli umani, e la cui sparuta resistenza avremmo dovuto aiutare. La cosa angosciante del gioco era che tutti gli universi in cui si poteva scappare erano già stati conquistati dal Guardiano. Uno che voleva sottrarsi allo sguardo del malvagio non aveva scampo. Ovunque si andasse, c'era il male, pronto ad aggredirci.


Un altro degli universi paralleli era la Killorn Keep, una fortezza i cui occupanti, a parte l'occasionale ribelle, sono fastidiosamente devoti al Guardiano, che ha creato una parodia delle Otto Virtù di Britannia. Le virtù originali, ricordiamo, sono Compassione, Sacrificio, Valore, Onore, Onestà, Giustizia, Spiritualità, Umiltà. Le virtù del Guardiano sono Sobrietà, Puntualità, Obbedienza, Vigilanza, Conformità, Efficienza, Silenzio e Costanza. Le "Lezioni di Vita" (sì, ricevevo pure quelle) che mi venivano impartite da certe persone erano praticamente tutte incentrate sulle virtù del Guardiano, che erano incentrate sulla sottomissione a un'autorità superiore punitiva, piuttosto che sull'altruismo nato da una condizione di libertà che fa sì che spontaneamente decidiamo di contribuire al bene del prossimo.

La cosa ridicola è che lo stesso sistema di "virtù"  del malvagio Guardiano è stato riciclato dalle prigioni dello stato della Florida, in cui ai carcerati viene imposto il codice morale di Sobrietà, Puntualità, Obbedienza, Vigilanza, Conformità, Efficienza, Silenzio e Costanza. Se da un lato questa cosa può sembrare stupida come solo una cosa pensata dagli americani può esserlo, dall'altro tutto acquisisce un senso se la consideriamo dal punto di vista espresso nel saggio "Sorvegliare e punire" di Michel Foucault.

ma ciao!
Foucault si rifà al concetto di panopticon, una prigione a basso costo a forma di cerchio con la guardiola dei secondini esattamente nel centro, in modo che un singolo secondino possa vedere tutte le celle della prigione. Secondo Foucault, la negazione della privacy è un modo di punizione più efficace dell'antica legge del taglione: l'occhio per occhio/dente per dente serve giusto per togliere lo sfizio a chi ha subito inizialmente il torto, mentre il panopticon indebolisce la personalità del criminale costringendolo a internalizzare l'idea di disciplina. Il timore di essere sempre sotto l'occhio di qualcuno, che sia il secondino nel centro del cerchio o che siano gli altri carcerati che ci guardano, ci instillano quella timidezza conformista che ci impedisce di uscire dal seminato del regolamento. È l'umiliazione di chi si rende conto di essere nudo sotto l'occhio dell'onniveggente divinità maligna. Umiliazione che viene espiata dalla divinità malvagia stessa mediante l'obbedienza e la collaborazione. Nei campi di concentramento per i delatori c'era una carriera disciplinare che garantiva privilegi maggiori, oltre che l'odio degli altri detenuti. È il convincere il ribelle Winston Smith che lui ama veramente il Grande Fratello.


Il concetto di panopticon si applica all'intera società moderna, secondo Foucault. Il vostro ufficio organizzato secondo un fastidiosissimo "open space" vi costringe a vergognarvi quando volete cazzeggiare dieci minuti leggendo il blog dell'Ex Videogiocatore e a non distogliere gli occhi dalla schermata del portale aziendale. E la vostra dirigenza ve lo spaccia pure come "spazio per favorire la collaborazione" in modo che sembri una cosa fatta per il vostro bene e che dobbiate sentirvi in colpa se ve ne lamentate. 

Ora, non credo che mia nonna e le sue amiche avessero letto Foucault, ma di certo l'effetto che ottenevano quando durante le loro eterne chiacchierate sul nulla, quando iniziavano a prendermi per il culo (non ho altra definizione per quello che facevano) commentando i particolari privati della mia vita e ridendone, facevano esattamente la stessa cosa che faceva il Guardiano coi suoi prigionieri. Instillavano in me quello che era un grande senso di vergogna per aver solo pensato di violare le regole. E le regole erano dicevano tutte chiaro e tondo la stessa cosa: "Il mondo là fuori è una merda".

Poi in casa mia rimanevano perplessi sul come mai fossi così chiuso e a un certo punto non raccontassi più niente di quello che facevo quando ero a scuola, delle mie aspirazioni, delle "simpatie" che avevo. Già, le "simpatie". Per "Simpatie" ovviamente si intendeva se c'era qualche ragazza che mi piaceva (sì, a 11 anni, quando le ragazze coetanee sono quasi esclusivamente bersagli per insulti). "Ma che cazzo volete da me - pensavo - da un lato siete delle vecchie che pensano che le donne là fuori siano solo interessate a me per impossessarsi di un inesistente patrimonio, se invece vi gira bene al massimo mi prendete per i culo ad libitum con i vostri cazzo di Ehhhhh, la lingua batte dove il dente duole! Praticamente me lo state chiedendo in ginocchio di rincoglionirmi davanti al computer tutto il giorno, rifugiandomi in mondi paralleli, proprio come l'Avatar nelle Ice Caves, che dalla mappa sembrano così intricate e complicate che mi viene addosso la tristezza a pensare che resterò qui per sempre o schiatterò nel tentativo".


"Talos" in realtà si chiama Talorus (hai toppato, Paglià, non me la dovevi fare), e tra i vari mondi paralleli nel gioco era, assieme all'Ethereal Void (che però non aveva la mappa, e mi spaventava l'idea di perdermici) il più fuori di testa di tutti. Con i muri fatti di tubi multicolore, creature tipo rospi a tre occhi, e delle strane palle di luce con nomi tipo "Bliy Skup Ductosnore". Nonostante tutto, pure Talorus è vittima del Guardiano, che ha preso i Taloridi e ne ha cambiato la fisiologia trasformandoli in una specie di robot malfunzionanti, con la scusa dell'ottimizzare la loro biologia. Sempre il "lo faccio per voi", sempre quell'umiliazione da parte del più forte nei confronti del più debole. Quante volte siamo stati costretti da qualche figura superiore, (molto comune presso gli insegnanti) a qualche attività che va dall'umiliante al disumanizzante con la scusa che era "per il nostro bene"? 

Rileggendo 'sta soluzione, dopo aver provato un po' a documentarmi, tra qualche let's play e articoli su wikipedia, su quello che era il gioco, capisco perché ero così attratto dal leggerla, nonostante la sensazione di nodo allo stomaco che mi dava. Io mi ci identificavo, con quel gioco. Prigioniero di un sistema che era il Vecchio Paese, sognavo di uscirne, e i mondi paralleli in cui rifugiarmi erano ostici, enormi e sapevo che mi sarei irrimediabilmente perso, complice anche un motore grafico che non pareva lasciare molto spazio al senso dell'orientamento. Non c'era via d'uscita, per me, dalla cupola di blackrock. E il Guardiano mi osservava 24 ore su 24, non perdendo mai l'occasione di farsi beffe dei miei sforzi vani.

 
E poi arrivavo a questo box. In cui veniva descritto un mondo completamente fuori di testa, e pur sapendo che avrei fatto una gran fatica ad arrivarci, sembrava valerne la pena. Si usciva dai soliti cunicoli e tutto assumeva l'aspetto di un brutto trip, ma era qualcosa di nuovo. Era quella sensazione di quando si scavalla la metà di un lungo e faticoso percorso, e tutto inizia ad assumere un aspetto più gradevole, e forse ci si può pure divertire. Quando le cose sembrano meno difficili di come le erano state dipinte prima. E se non lo fossero state, pazienza, si usciva dal gioco, si spegneva tutto, e si andava a fare qualcos'altro. Perché non riuscivo a ficcarmelo in testa che era tutto così semplice? Perché dovevo rovinarmi la vita con l'attesa di un continuo, inevitabile disastro al quale sarei riuscito a sfuggire solo rocambolescamente, per il rotto della cuffia?
 

Questa cosa è andata avanti per anni, e a tratti mi torna ancora oggi. "Per il mio bene" ero stato preparato al peggio da parenti, conoscenti, insegnanti, e tuttora da colleghi e amici. "Eh ma che gente di merda frequenti!" direte voi. Beh, non mi sento di essere d'accordo. Quello che percepisco (ma potrei sbagliarmi) sono tentativi di fare una o più delle seguenti cose:

  • Distogliere l'attenzione - di entrambe le parti - da problemi più tangibili e concreti, che potrebbero essere risolti in poche mosse, ma per giustificare un immobilismo quasi andreottiano, bisogna far presente che la situazione a livello "macro" è così estremamente complicata da risultare paralizzante. Questo lo vedo spesso in capi che ho avuto nei miei vari lavori seri, capi completamente paralizzati dall'idea di prendere una decisione, che piuttosto rimbalzavano su di me l'ordine di essere attivo, passare all'azione, "tac tac", subito, che io ho bisogno di qualcuno che vada a combattere al mio posto, che sono completamente paralizzato dai timori di tutte le conseguenze a me nocive che una presa di posizione potrebbe comportare.
  • Nutrire il proprio senso di superiorità morale evocando, in una specie di rituale animista, tutti i mali del mondo, in modo da apparire migliori al confronto. Un po' come quando, in compagnia di soli uomini, si approcciava il gentil sesso: c'era sempre uno stronzo che anziché scegliersi la preda e concentrarsi su quella, si divertiva a sminuire tutti gli altri per sembrare più fico lui, con buona pace della buonanima di John Nash. 
 Ne è esempio Praecor Loth nei livelli della sua tomba. Praecor Loth è il fantasma di un re morto in guerra da 700 anni, i cui tre luogotenenti hanno rievocato sotto forma di spirito e gli hanno fatto credere di essere ancora vivo e che la guerra stia ancora andando avanti. Nel frattempo, i tre luogotenenti sono diventati dei mostri in parziale decomposizione, che girano senza meta per la tomba del loro re, non facendo nulla se non continuare a vivere la loro illusione, ma di fatto girando a vuoto tra un rimpianto e un'autosuggestione di contare ancora qualcosa. È un'immagine per me orribile. Se su questo sito c'è scritto "smettila di crogiuolarti nella nostalgia e fai qualcosa della tua vita" è per la stessa ragione per cui io trovo questa immagine orribile. Allo stesso modo, leggere la frase di Paglianti che spiegava che era necessario convincere Loth di essere morto e liberarlo da questo eterno stato di sospensione confusa, era per me un'immagine potentissima. Che mi dava speranza. Che forse un giorno avrei trovato il coraggio di spezzare l'incantesimo della tomba dell'ex videogiocatore, che era la vecchia stanza del PC della vecchia casa del Vecchio Paese, in cui guardiani vari zompavano all'improvviso in camera dicendo eh! stai ben tranquillo che non guardo niente! E sarei stato in grado di liberarlo. Ma, come ogni cosa, più di ogni altra cosa, sarebbe stato difficile.


E in effetti lo è stato. Arrivato alla fine di questa soluzione, spalmata sui numeri 50 e 51 di K, mi sentivo quasi affaticato. Potrà sembrarvi semplicemente un vortice di sfiga preadolescenziale quello che vi sto raccontando, e non escludo che sia semplicemente quello: di certo, per me l'immedesimazione in un universo parallelo tramite una cavolo di rivista (e sapete benissimo che ne penso della stampa di settore) era un'emozione che non potevo trascurare. Tutti i ragionamenti che ho fatto in questo articolo li ho fatti col senno di poi, traducendo in parole quella che al tempo era semplicemente una vaga e indescrivibile sensazione di disagio. 

La cosa bella del mezzo di comunicazione del videogioco è che a seconda delle abilità del giocatore non siamo strettamente legati alla stucchevole narrativa per cui il bene vince sempre. Come ho detto, avessi potuto provarlo al tempo, probabilmente il tavò sarebbe insorto già durante l'esplorazione del castello imprigionato e avrei lasciato perdere il tutto fantasticando sul finirlo con grande semplicità. Magari mi sarei messo con la costanza che le virtù del malvagio Guardiano mi imponevano e lo avrei finito. Chissà. Non importa. Dalla cupola di roccia nera sono scappato, passando attraverso vari universi paralleli, ognuno dei quali popolato dai suoi mostri e dal suo Guardiano. Dove mi trovo ora mi trovo in un punto in cui quando sto di fronte al faccione rosso di un nuovo Guardiano cerco di guardarlo per quel che è, cioè una maschera renderizzata a bassa risoluzione e modellata con pochi poligoni per via della scarsa potenza delle macchine del 1993. E questo, per quanto non ci riesca sempre e subito, mi aiuta un po'. Non credo alla frase "E vissero tutti per sempre felici e contenti", ma accidenti. Sembrava tutto così difficile sulle riviste.

7 commenti:

  1. Articolo che sembra la degna conclusione del tuo percorso di introspezione. E invece dobbiamo ringraziarti per aver continuato, settimana dopo settimana, a tenerci compagnia.

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    1. Grazie a te. Ma in realtà non prevedo di andare avanti in eterno, non tanto perché i giochi finiranno, quanto per il fatto che a un certo punto finirò le cose da dire. In realtà so già perfettamente con che cosa concluderò questo blog, non tanto dal punto di vista di quale gioco metterci (che tanto se mi leggi assiduamente è già ovvio) quanto dal punto di vista dei contenuti.

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  2. Questo commento è stato eliminato dall'autore.

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  3. Dispiacerà, ma se il giorno in cui tutto questo terminerà non riusciremo a farcene una ragione e tirare avanti sarà stato tutto invano!

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    1. Più che altro se dovessi andare avanti ad libitum diventando formulaico e basato su tormentoni come un qualsiasi blog delle prefiche, significherebbe che non ho capito nulla io.

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