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giovedì 3 agosto 2017

Determinismo, aporiomorfismo, ansia e McLuhanismo, ovvero del perché i videogiochi vecchi mi hanno dipinto un mondo più brutto di quello che è

Una delle ragioni per cui ho aperto questo blog non è tanto il bisogno di ripercorrere i vecchi videogiochi e rifugiarmi nel passato. Ma questo lo sapete già, di quanto mi stia sulle palle il nostalgismo totalmente acritico. No: quando l'ex videogiocatore ci ha riprovato per la prima volta, un pomeriggio fra Natale e Capodanno trascorso al Vecchio Paese, proveniva da un periodo piuttosto agitato, in cui un'ansia generalizzata mai sopita è tornata fuori.

Ansia.


Accadimenti molto brutti e, paradossalmente, accadimenti molto belli mi hanno dato una serie di scossoni che hanno fatto sì che per un certo periodo mi trovassi a vedere, in ogni momento, scenari catastrofici come evoluzione di anche la cosa più semplice che stavo facendo. Lo faccio tutt'ora, anche se un po' meno. È una forma di dipendenza, quella dall'ansia. Una cosa che razionalmente ci fa male, diventa qualcosa che cerchiamo attivamente, perché lo stato di allerta, il cosiddetto "fight or flight", è l'unico modo con cui riusciamo ad affrontare la vita.

È una conseguenza del "pensiero magico", una cosa incredibilmente primitiva che ci troviamo più o meno tutti cablata in testa. È quella cosa che ci fa portare le mani sui maroni (se ce li abbiamo) quando parliamo di malattie o disgrazie, è la cosa che il giorno di un esame fa sì che entriamo in facoltà col piede sinistro piuttosto che quello destro. Per questa ragione, mi sono trovato in una situazione in cui affrontavo ogni cosa come se dovesse andare nel peggiore dei modi, adeguando il mio stato d'animo di conseguenza. È un modo come un altro di pararsi il sedere, illudendosi di avere tutto sotto controllo per un eventuale scenario di caso peggiore. Funziona, a modo suo, ma che spreco di energie, e che vitaccia.

Una cosa su cui tutti gli psicologi sembrano concordare, è che traumi infantili spesso influiscono sul modo di pensare adulto, e quindi mi sono detto: "perché non rivisitare una parte fondamentale della mia infanzia, togliendomi gli occhiali rosa della nostalgia e venendo a contatto con le cose sgradevoli, che magari mi spiegano qualcosa in più su me stesso?" Beh, eccoci qui, dunque. Dopo una lunga serie di giochi ripercorsi, senza mai (per ora) menzionare tutti gli altri tipi di programmi con cui avevo a che fare, molti di essi fini a se stessi (ci torno dopo), ecco alcune considerazioni.

Prima dell'avvento di internet, nulla più di tenere il computer acceso tutta notte per fare il defrag confermava l'ipotesi di McLuhan secondo cui un mezzo di comunicazione è il messaggio.
L'informatica è una bruttissima cosa: il fatto che sia apparentemente una scienza esatta ci dà l'impressione che sia qualcosa di deterministico, che uno più uno faccia sempre due, indipendentemente dalle condizioni, che tutto sia sempre esattamente prevedibile. Questo è vero, in teoria, ma esistono le variabili nascoste, che possono andare dalla temperatura della stanza alla tensione di rete, fino alle porcherie rimaste nella ram, fino al campo magnetico nei pressi del dispositivo di memoria di massa.

Las Vegas EGA Casino. Valeva la pena comprare lo schermo a colori per questo.

Un esempio è l'immagine qui sopra: Las Vegas EGA Casino era un gioco shareware estremamente semplice, con una grafica pienamente trascurabile. Con il computer di un mio amico, che aveva lo schermo a colori, questo funzionava: con il mio, che aveva lo schermo in bianco e nero, no. A meno che [OMISSIS]: in certi casi riuscivo a farlo partire, ma non sapevo come.
Da informatico alle prime armi, scoprii che quello che avrebbe dovuto essere 1+1=2, in realtà era 1+1=1,999999. Margine d'errore accettabile, verrebbe da dire, ma sappiamo tutti che non è così.

Perché all'improvviso il testo diventa largo il doppio? E peggio ancora, perché questo non accade sempre?
Piccola digressione: per ragioni che non vi sto a raccontare, da piccolo ho dovuto spendere, controvoglia, un sacco di tempo coi vecchi. Soprattutto donne vecchie sole, piene di rabbia e di rimpianti, incattivite con la vita. La maggior parte dei discorsi erano su morti, su storie di corna, e su come il mondo stesse andando a rotoli. Niente dava loro più gioia di rinfacciarmi il fatto che io, ancora giovane, avrei avuto una vita di lunghe sofferenze per via di una società senza più valori, fatta di furbi, di ladri e di assassini. Un inferno in cui "La Gente", la vera incarnazione del male, era là fuori pronta a causarmi il male e a godere delle mie disgrazie. Proprio come facevano loro durante i loro simposi sul male. Loro, fortunatamente, erano al tramonto della vita: avevano goduto di un mondo più pulito, più bello, che ora non c'è più. E mi avevano lasciato gli avanzi rancidi.

L'odore delle case dei vecchi è l'odore della merda, della muffa e dell'odio.
Pur vivendo in un dormitorio, giocare per strada con gli altri bambini del condominio era impossibile: non vivevamo in un condominio e attorno l'età media era alta. I miei amici erano distanti, e per vederci dovevamo dipendere dai genitori. Ci divertivamo in quei momenti, ma il terrore di un mondo ostile che certe interminabili riunioni di famiglia sottolineavano non veniva del tutto cancellato. È emblematico come una delle mie reazioni a caldo dopo uno degli accadimenti molto brutti di cui parlavo a inizio articolo, sia stata di pensare a certe persone che mi dicono che in fondo me la sono andata a cercare, volendo fare il fenomeno, andando via dal Vecchio Paese. Ma tutto questo cosa c'entra coi videogiochi? 

Merchant Colony. Chi ci capisce qualcosa, dell'interfaccia, è molto bravo.
Nei videogiochi mi ci tuffavo per trovare quella spensieratezza che spesso il mondo di fuori mi negava. A giocare all'aperto c'era sempre il terrore delle varie madri (la mamma di un mio amico, fra tutte, era la peggiore) del sudore e dei relativi malanni. Ci si provava a ingannare la sorte, ma inevitabilmente al primo colpo di tosse arrivava l'inquisizione. Il videogioco era il posto più sicuro in cui potevamo divertirci. Stavamo in camera e non ci succedeva niente, e soprattutto nessuno ci rompeva i coglioni (se non per dirci di smetterla e andare a fare qualcos'altro). E qui torniamo all'argomento del determinismo di cui ho parlato prima: un sottospazio dell'universo, sicuro, e soprattutto in cui uno più uno fa sempre due. 

In questo "safe space" autocreatomi, un po' per noia, un po' per sfuggire alle predizioni apocalittiche dei vecchi avvelenati, ogni difficoltà aumenta di gran lunga l'agitazione: interfacce confusionarie, totalmente avverse all'intuizione, erano un modo per frustrarci e causarci ansia. Forse esagero, ma mi rendo conto di quanto tante piccole frustrazioni si sommino facendo l'effetto valanga. D'altra parte, quando sei piccolo tutto sembra più grande di quello che è. 
Ho dato un nome a questo fenomeno di confusione: "Aporiomorfismo", dal greco aporein + morphḗ, ovvero la forma che causa confusione, interfacce scomode che sputano in faccia a qualsiasi modello cognitivo. Vi ricordate di Space Crusade? L'incomprensibile menu in cui era facilissimo perdersi?

Un piccolo refresh per tutti voi.
Sembra una stronzata, e probabilmente lo è, ma immaginatevi come, in un ambiente che è una semplice simulazione, quindi sicuro al 100%, e dovete destreggiarvi in qualcosa che è completamente innaturale ai sensi dell'apprendimento. Visto l'arrivo imminente del mio primo figlio, un po' mi sono documentato su come si sviluppa il cervello di un bambino. A 8 anni come a 0, un bambino ha bisogno di certezze. Ha bisogno di qualcuno che gli dica "tu sei agitato perché succede questo", non di un genitore egoista che tratti il figlio come un principino e che cerchi di schermarlo da ogni guaio, né di un genitore che fa il fenomeno atteggiandosi a vissuto, dicendo "eh! Prenditi un po' di sprangate nei denti dalla vita che ti sviluppi". Che non ha manco più senso detto da una generazione come la mia, i figli degli anni 80, viziati come mai nessuno prima nella storia.

Insomma voglio mettere in chiaro che non è una questione di essere iperprotettivi. Penso che si possa essere genitori fermi e severi, ma allo stesso tempo spiegare le cose come stanno. Io ho avuto la fortuna di avere genitori che ci hanno provato a spiegarmi le cose come stanno, cercando sempre (cosa molto importante) di non pensare per me.

Altre figure molto presenti nella mia vita, invece, hanno ritenuto più opportuno pensare che il modo migliore affinché un ragazzino si sviluppi sia imbottirlo di paure ed insicurezze su un mondo completamente ostile, e allo stesso tempo di rafforzarne le responsabilità se qualcosa va storto: "il mondo è un posto di merda e tutti vogliono fregarti, e se ti fai fregare è solo colpa tua che non sei stato attento applicando alla lettera il modo di vivere che ti dico io".

If (persona=FALSE) then puliziaContatti();
E tra queste figure negative, oltre alle vecchie rancorose, ci metto pure l'informatica, che nei primi anni 90 aveva una fama di infallibilità molto maggiore, e che nonostante ciò si divertiva a creare confusione. Non avevo molte persone che mi spiegassero come stavano le cose in informatica: mi davo da fare, provandoci e sbagliando. Il paradosso del vivere in un mondo ostile in cui l'informatica era il sottoinsieme infallibile era che, quando succedeva qualcosa di brutto, l'errore era soltanto mio.

Quando (abbastanza presto) ho iniziato a tenere questo spazio esclusivamente per me, ho iniziato a sperimentare, temendo sempre gli errori ma imparando a risolverli e anzi trovando la risoluzione dei problemi così stimolante che l'ho fatta diventare, più avanti, un lavoro. O meglio, la risoluzione dei problemi diventava stimolante quando i problemi non erano figli della cattiveria de "La Gente" di cui avevo tanto sentito parlare, in quel caso, beh, la frustrazione montava.

Fermati, imbecille!
Una delle ragioni per cui penso di aver rifilato "Merda" a Lemmings (cosa che apparentemente ha ferito i fragilissimi sentimenti di qualche nostalgista incallito) credo sia inconsciamente il rifiuto della visione del mondo secondo la quale io, il videogiocatore, mi trovi ad avere a che fare con persone che, a causa della loro fondamentale stupidità, mi mettono continuamente i bastoni tra le ruote. Ok, questo e il fatto che il gioco in sé mi è risultato essere una grandissima rottura di palle. Sta di fatto che, prendendola più in generale, un videogioco in sé è un problema da risolvere, in cui ogni oggetto che non è funzionale al nostro obiettivo è un ostacolo.

Vi ricordate quello che ho detto a proposito di Ultima, no? Un gioco intero passato ad aiutare degli ingrati che, se vogliono darci una mano, prima esigono che noi risolviamo i loro problemi. E ovviamente non è l'unico caso.

King's Quest 5: un villaggio pieno di gente che dovremo aiutare, o moriremo in maniera insensata centinaia di volte.

Il bisogno di allungare il brodo con una serie di do ut des da parte degli sviluppatori non fa altro che creare un simulacro di mondo distorto, in cui il comportamento de "La Gente" non fa altro che confermare l'ipotesi del mondo ostile propugnata dalle vecchie acide che mi prendevano per i fondelli per via della vita miserabile che mi avrebbe aspettato.

Space Quest 4: a volte "La Gente" ti ammazza senza particolare ragione, dopo una delle sequenze più terrificanti di sempre che hai cercato di evitare cliccando in maniera forsennata.
Dite che sto esagerando? Dite che leggo troppe cose in quello che è un semplice mezzo di intrattenimento? Potreste avere ragione: d'altra parte, a dispetto di tutto, sono uscito una persona piuttosto normale (e decisamente noiosa), e se non avessi fatto questo esercizio di introspezione continuato che è questo blog, mai sarei arrivato a riflettere su queste cose.

"È solo un gioco", ci si prova a dire, così come certi esperti di internet (ciao Helder) quando dico loro che i social media mi fanno schifo, mi rispondono che i social media sono solo un mezzo. Spiacente, ma non sono d'accordo: mi trovo piuttosto a concordare con Herbert Marshall McLuhan, il quale ebbe a dire che "il medium è il messaggio". Spiego meglio: la tipologia del mezzo in sé veicola un concetto verso l'immaginario collettivo a prescindere dal messaggio che in quel momento comunica.

Il medium è il massaggio, e non sempre c'è l'happy end.
La stessa notizia, detta per televisione, sul giornale, o su Twitter, ha un effetto diverso: nel mio caso, rispettivamente è disinteresse seccato, curiosità, rigetto e malessere. Così come i social media, alla fine della fiera, si riducono alla ripetizione di tormentoni e tic verbali in una maniera molto meno ridotta rispetto a circoli di scambio di informazione più evoluti, il videogioco, con la sua natura immersiva, veicola un messaggio molto più personale rispetto a un libro o un film. Un messaggio al quale, mi rendo conto, in giovane età ero molto sensibile, e che grazie anche a un terreno fertile, mi ha aiutato a cementare una certa visione del mondo che tuttora sto cercando di smontare, con alterne fortune.

Un piccolo aneddoto che comprende tutto quello che vi ho spiegato.

Mi passano un gioco ovviamente piratato, che recensirò in futuro. Nel dischetto c'è un virus, il November 17, che fa saltare fuori l'allarme di F-Prot. Era il mio primo virus, e tutte le storie dell'orrore a proposito mi spaventano molto. Lo rimuovo, e i commenti che ricevo dal parentado è che di certa gente non mi devo fidare e i giochi non devo più farmeli passare, perché potrebbero rovinarmi il computer. Capito? da bravo videogiocatore pezzente, potevo sfruttare una conoscenza per ottenere giochi che io non avevo modo di procurarmi, se non pagandoli 99.000 l'uno, ma non dovevo chiederlo perché "La Gente" è inaffidabile. Poi un giorno faccio partire il gioco come al solito, e, diversamente dal solito, mi parte questa cracktro:

AAAAAAAH!!!
...come spesso ripeto in questo blog, ovviamente, ero un grandissimo cacasotto.

8 commenti:

  1. Questo commento è stato eliminato dall'autore.

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    1. Non sono affatto d'accordo.

      Come puoi dire che un manipolo di vecchie zitelle che non usciva mai di casa e vedeva il mondo tramite il filtro sensazionalistico di certi telegiornali aveva ragione? Posso capire una visione del mondo del genere temporanea se sei reduce da qualche delusione e tutto ti sembra schifoso, è normale e ci sta pure. Ma sei troppo giovane per ridurti come gente che alla fine del proprio percorso su questa terra rimpiange di non aver avuto la vita che sognava e quindi scarica la colpa sul mondo. E allo stesso tempo sei troppo grandicello per la fase emo-adolescenziale (esistono ancora gli emo?) in cui inizi a renderti conto che non diventerai pilota di robottoni e quindi non avrai mai la fidanzata (perché è noto che secondo la logica dei cartoni, per trovare uno straccio di gnocca bisogna salvare il mondo). Sto esagerando, ovviamente, ma non di tanto.

      Boh, mi dispiace molto leggere questo commento perché mi rendo conto di non essere riuscito a esprimermi come volevo: quello che volevo dire è che pur con tutte le cose brutte che succedono a livello "macro" (e che ricevono più attenzione per via del voyeurismo morboso di notiziari e reti sociali), è inutile chiuderci a riccio, perché anche isolandoci da tutto finisce che ci incattiviamo e ci facciamo salire l'ansia per ogni più piccola cosa che accade nel nostro spazio sicuro, ad esempio la discrepanza tra la narrazione di fumetti, film e cartoni e la realtà di cui abbiamo esperienza diretta, che per ovvie ragioni è molto più noiosa di quella di un film.

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  2. Caro Riccardo Giannini,
    non ci siamo proprio.
    Il punto non è che il mondo è cattivo e il nostro caro Ex Videogiocatore ci rimane male perché hai visto che il mondo era cattivo davvero. Semmai, il caro Ex Videogiocatore ci ricorda che laddove avrebbe dovuto trovare della tranquillità e dello svago, ci trovava la merda in testa a certi programmatori incapaci di creare videocarabattole ben funzionanti. Questo lo ha portato ad avere una concezione del mondo più simile a quella delle vecchie livorose di quanto non gli piaccia.
    Un caro saluto,
    Il Gestore del Babaleche

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  3. Non volevo sollevare un vespaio :D.

    Hai ragione Ex: quando ho scritto che il mondo è brutto, ho commesso l'errore di dare la colpa al mondo per i fallimenti e i "galleggiamenti".

    Ne sono consapevole e mi dispiace avere esternato quel pensiero un po' duro, anche se è comunque netta la contrapposizione tra il mondo bello e perfetto che mi hanno veicolato nell'infanzia e la realtà.

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  4. Mi dispiace aver anche frainteso il senso del post, ovviamente.

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  5. Per carità, nessun vespaio, tranquillo. Anzi ci sta che ognuno veda le cose in maniera ispirata alla sua esperienza. Non sono d'accordo con il tuo commento iniziale che hai cancellato, ma hai tutto il diritto ad essere in disaccordo col mio post.

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  6. Belli i post sui videogiochi ma alla fine io ne ho giocati solamente una piccola parte e tramite un amico comune (come ben sai) e non sono in grado di cogliere tutte le sfumature. Preferisco invece questi post un po' più personali che riflettono anche in parte come è stata la mia giovinezza al vecchio paese e vedo che nonostante le diverse esperienze (io ero più portato al giuocare in giardino piuttosto che stare al computer) le mie conclusioni non sono poi molto dissimili dalle tue.
    Gli spunti di riflessione sono molti ed interessanti ma come al solito faccio fatica ad esporre con chiarezza le mie idee per cui magari ne parliamo quando ci si rivede.

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    1. Capisco che aver giocato ai giochi trattati in questo blog dia un punto di riferimento in più, ma in realtà l'idea è sempre di più di usare i giochi come pretesto per queste riflessioni. Attendo un commento dal vivo, comunque.

      PS. Beato te che il giardino ce lo avevi. Io avevo un giardinetto pubblico davanti che o era pieno di vecchi o "STAI ATTENTO CHE CI SONO LE SIRINGHE" e la voglia passava subito.

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