Potrebbe esservi utile leggere (per contestualizzare)

giovedì 11 ottobre 2018

Debriefing di un'estate - Sonic the Hedgehog, il Mulino Bianco e la magia perduta

Siamo ad ottobre, l'estate è finita da un pezzo e ora che il caldo sembra essere definitivamente passato, vorrei riprendere un po' a mente fredda il tema che è stato toccato un po' ovunque relativo alla malinconia da fine estate, che inevitabilmente si interseca con la nostalgia delle estati di un tempo. Perché lo faccio ora? Semplice, il periodo del rientro coincide sempre, lavorativamente parlando, con un allagamento di merda che il vostro ex videogiocatore deve svuotare con un cucchiaino, e quindi ho molto meno tempo per scrivere con calma.

Ora, lungi da me iniziare faide con altri sbocchi online del pianto a comando che molto ipocritamente dicono "Premesso che non sono nostalgista ma solo nostalgico, ma quanto erano belle le estati di un tempo? I gelati Cucciolone, che buoni e che risate! Ahimè, ridatemi la magia dell'infanzia!", anche perché quando si arriva a settembre, la probabilità che in qualsiasi mezzo di comunicazione qualcuno esordisca con "L'estate sta finendo" è pari al 120% cosa che mi fa venire il tavò di intavolare qualsiasi discorso serio.

Tutto questo per non dire che "Vamos a la Playa" era una canzone sulla bomba atomica
Però che palle 'sta malinconia. Sì, le giornate si accorciano. Sì, diventa più freddo e arrivano i primi malanni (e non ne parlate a me che il mix autunno+allergia+virus all'asilo di mio figlio mi ha completamente sputtanato i bronchi). Ma questo non vuol dire che dobbiamo abbandonarci alla malinconia, citando forzatamente il film per antonomasia sulle lunghe estati passate in compagnia degli amici a inventarci avventure. Il fatto è che il 29 agosto mio figlio ha compiuto un anno, e per me stare a rimpiangere un passato in cui lui non c'era, beh, mi pare non solo una cosa estremamente egocentrica, ma uno sputo con scatarrata su tutto ciò che di bello la vita può regalare.

Sputo con scatarrata, people's elbow e rock bottom

Ma non mi aspetto che tutti capiscano. Ho persino letto in uno dei commenti a questa fiera della banalità qualcuno che ha scritto seriamente che pensa che la gente faccia figli al fine di comprare  giocattoli per sé senza che la società gli dica niente. Quindi non nutro alcuna speranza che il messaggio didascalico del mio blog venga colto, perché la nostalgiosfera è un specie di droga che rende molte persone degli adultolescenti piagnucolanti piuttosto sciocchini (sì , questo era un eufemismo). Se la storia del fare figli per tornare a comprarsi giocattoli senza subire giudizi fosse vera, poi, non si spiegherebbe come mai le occasioni che ho avuto di giocare con mio padre si contano sulle dita di una mano, visti i suoi orari di lavoro massacranti. Inoltre, il suo totale disinteresse per ogni ammenicolo che stimola le bruschette ai nerd implicherebbe, secondo la logica grottesca di questa gente con lo sterco nel cranio, che non avrebbe manco avuto interesse nel fare figli. Fortunatamente molta di sta gente non si riprodurrà mai, perché una genitorialità così egoista non può che essere dannosa per un figlio.

Già ho raccontato qualcosa del genere, in un articolo di più di un anno fa, e ora vorrei tornare sulla parte finale di quell'articolo, ovvero di come molti della mia generazione siano venuti su con l'idea che non ci sia nulla di più perfetto dell'ambiente della famiglia d'origine, in cui ogni cosa è magica e semplice come nell'ormai stereotipato spot del Mulino Bianco. E per farlo vi parlerò di Sonic the Hedgehog.

Infilatelo dove lo dico io quel dito
Siccome Alex Kidd come mascotte delle console SEGA era più blando del gelato Valsoia alla vaniglia, la multinazionale di Tokyo creò una task force per trovare un personaggio rappresentativo della propria linea di console che riuscisse a tenere testa a Mario, l'idraulico italiano della Nintendo. Di tutto ciò vi ho parlato a proposito dell'articolo su Zool, e non è che ci sia tanto da dire che non sia pure scritto su wikipedia. Di fatto, quello con cui vennero fuori fu un insopportabile porcospino che si muoveva a velocità supersonica in modo da rincoglionire i ragazzini con il flow del gioco. Sembrava fichissimo, almeno da quello che vedevo io nelle pubblicità su Topolino e in TV, soprattutto perché il Sega Mega Drive millantava una grafica a 16 Bit (che cosa volesse dire, nessuno lo sapeva) e io al massimo mi potevo permettere la VGA, che quanti bit avesse nessuno lo sapeva.

In anticipo sui tempi, però, restavo un fermo videogiocatore PCista e le console mi stavano sulle palle a prescindere, quindi non è che sbavassi tanto per avere un Sega Mega Drive in casa, ma sognavo che prima o poi facessero giochi fichi come quelli anche per il mio computer. Con tutto che un Mega Drive non l'avevo mai visto.

La cosa cambiò al mare. Può sembrare impossibile vista la mia orsaggine ma non cambiando stessa spiaggia stesso mare e stesso periodo di vacanza ogni anno, avevo un consolidato gruppo di amici che rivedevo ogni anno. Uno di questi era M.B. Uso le iniziali di "Mulino Bianco" per definirlo, perché sia lui che la sua famiglia ostentavano una patina di perfezione pressoché irreale. Famiglia moderna, ma all'antica, genitori sedicenti autorevoli ma anche amici del figlio (ovviamente figlio unico). Insomma una famiglia di una volta, ma adattata agli anni 90.

"Quando Lui andava a pisciare in un campo di grano,
nascevano spighe d'oro" (Giorgio Bracardi nei panni di Romolo Catenacci)
Devo dire che per quanto nel 1992 fossi un credulone, non è che provassi troppa invidia. La perfezione sbandierata era di un livello tale che sembrava irreale persino a me.

Insomma, un giorno di inizio luglio, al mare stava piovendo, da un lato ero indispettito che il bagno non si faceva, dall'altro, nell'appartamento in collina in cui ci trovavavamo, l'odore della pioggia estiva si univa all'odore di pitosforo dandomi quella sensazione di spensieratezza ancora più grande di quella che avrei avuto partecipando alla mascherata sociale della spiaggia. Nel frattempo lo stato italiano e l'intero mondo come lo conoscevamo stavano andando in frantumi tra un attentato mafioso, l'ennesimo mariuolo isolato che saltava fuori con le mani in pasta, il 6 per mille dei conti correnti che spariva magicamente nella notte e la guerra che infuriava al di là dell'Adriatico. Ma non me ne fregava niente, perché M.B. mi aveva invitato al suo appartamento a farmi provare il suo Mega Drive.

"Bello quel Mega Drive. Sarebbe un pecccato se qualcuno se ne portasse via un pezzo..."
E ovviamente proviamo Sonic, che è coloratissimo, è velocissimo e soprattutto è diverso da tutto ciò che avevo visto sul mio PC, che al tempo aveva una gamma di videogiochi assai limitata. Successivamente, le innumerevoli iterazioni del gioco del porcospino diventeranno così ripetitive e banali che apprezzare i videogiochi di Sonic diventerà sinonimo di autismo. Ma allora, ne rimanevo affascinato pure io. Una cosa che mi colpì incredibilmente di quel giorno fu che il padre di M.B. si sedette con noi e iniziò a giocare pure lui, sfidandosi col figlio e giocando meglio di me, che era la prima volta che mettevo le mani su un joypad. A me 'sta roba pareva inconcepibile: già ho scritto altrove che la condivisione del videogioco con i miei familiari non era minimamente immaginabile, e soprattutto in quel periodo dell'anno in cui mio padre non era massacrato dal lavoro, andavamo a nuotare, a pescare vongole e a fare tutte quelle cose che si fanno al mare. M.B. e la sua famiglia mulinobianchesca facevano ancora di più. Non solo al mare si era portato dietro una console, ma pure la faceva diventare un'attività familiare. Un focolare postmoderno.

E io che a differenza del papà di M.B. cadevo a metà del giro
della morte perché andavo troppo piano, in tutto questo
teatrino ero un personaggio dickensiano invitato al focolare dei ricchi
In realtà, oltre a  queste parentesi di idillio familiare ostentato, il mio rapporto con M.B. e con gli altri "amici" del tempo era più complesso. Ero il più giovane del gruppo, e un hobby diffuso era quello di prendermi per il culo pesantemente (oggi si dice "bullizzare", al tempo no), approfittando del fatto che, proprio per la differenza d'età, ero ancora un bambino e loro erano ai margini della pubertà. Aggiungete a tutto il fatto che ero costretto, da una figura molto forte in famiglia (mia nonna, dispensatrice di istruzioni per l'uso della vita), a essere quello che rispondeva con grinta a ogni provocazione uscendone sempre vincitore: se fossi tornato a casa in lacrime o se mi fossi fatto mettere i piedi in testa da quelli là, sarebbe stata colpa mia. "Ti g'aviv da dir", che nel dialetto del Vecchio Paese significa "dovevi dirgli" era la parola chiave. Avresti dovuto dire qualcosa, e qualsiasi cosa dicessi non andava bene. Perché in quella visione del mondo, con la giusta dose di grinta tutti si piegano immediatamente alla tua volontà come ipnotizzati. E se non succedeva, era chiaramente una mancanza mia. Un po' anche per questa frustrazione, le nostre scorribande finivano spesso e volentieri in rissa. Magari non troppo forte, per evitare segni permanenti, ma in me la frustrazione era grandissima, perché ero il più piccolo, questi oltre a essere più grandi si mettevano d'accordo a prendermi per il culo. Cazzo, era troppo facile così.

Ma quello che più mi colpiva era la doppia faccia di M.B.: sinceramente amichevole e simpatico con me quando eravamo soli, ma quando c'erano altri, metteva su una maschera per cercare di dimostrare qualcosa. Che cosa non lo so, ma c'entrava il dover perculare il più piccolo e il meno scafato del gruppo. Va anche detto che nel gruppo eravamo tutti "classe medio-alta benestante", chi più chi meno, ma il fatto di essere un contadino del Vecchio Paese mi rendeva abbastanza snobbabile da parte di figli di dirigenti d'azienda e di commenda con il Porsche.

Ueh Africa!
Poi M.B. ci sfanculò tutti perché aveva trovato un'altra compagnia. "Ah, perché c'erano femmine!" direte voi. Sì, anche, ma principalmente, almeno all'inizio, per il fatto che nella nuova compagnia c'erano altri ragazzi che fornivano opportunità che la nostra compagnia non poteva dargli (sotto forma di barchette a remi con cui andare in giro - un vero feticcio di M.B., sotto forma di console più evolute del megadrive - e più costose, roba così). E insomma, con l'arrivo dell'adolescenza, il nostro gruppo si sciolse, e io, che ero più giovane, meno popolare, e meno indipendente, negli anni successivi continuai ad andare allo stesso posto, sempre coi miei. Mia mamma era rimasta in buoni rapporti con la mamma di M.B., e ogni tanto ci raccontava di come il figlio stesse prendendo una brutta strada, che stava diventando il classico "sfattone", e in più con frequentazioni nei gruppi ultrà della squadra di calcio per cui faceva il tifo. Questo lei lo raccontava alzando gli occhi al cielo e ostentando un sorriso amichevolmente severo, come se in realtà la lamentela fosse una scusa per sbandierare il fatto che nonostante il figlio fosse diventato la versione da pubblicità del Mulino Bianco di un punkabbestia/tifoso organizzato, lei e il marito erano molto di più di una famiglia: loro erano suoi amici. Una concezione bizzarra dell'amicizia che consisteva nel procurare al figlio tutto ciò che voleva, tra cui una casa di campagna ristrutturata in cui andasse a vivere con la fidanzata (sfattona pure lei) e l'immancabile cane.

Praticamente così
Dunque ero arrivato pure io all'adolescenza, e il Vecchio Paese e la casa dei miei erano una specie di prigione, e dunque ovviamente mi facevo domande. Ma come, questo fa il cazzo che gli pare e gli comprano pure una casa, e io che non rompo i coglioni e vado pure benissimo a scuola devo sorbirmi uno psicodramma tipo teatro kabuki quelle poche volte che esco la sera? Non è mica giusto!

Da un lato c'ero io, che di fronte alle continue lezioni di vita di un'onnipresente nonna la quale, assieme alla sua ghenga di vecchie di merda e la loro visione apocalittica di un mondo ostile al di fuori delle mura familiari, avevo obbedito e cercavo di diventare adulto subito per gettarmi al più presto nella mischia di quella guerra contro il resto del mondo in cui loro erano i generali. Dall'altro lato c'era M.B., che era venuto su giocando a Sonic con suo padre e che si stava avviando sulla strada di chi si sarebbe sentito dire "Vabbè, sò ragazzi" anche a 40 anni: i suoi genitori, avendo rinunciato ad ogni velleità di educatori severi, erano l'esatto opposto delle figure paterne tiranniche e autoritarie che ci erano arrivate da De Amicis.

Franti, tu uccidi tuo padre col tuo non essere in grado di passare la Green Hill Zone
 
Ovviamente il mio problema era che a questa rappresentazione di una complicità genitoriale come un'amicizia alla pari io c'ero quasi cascato. E la "via della perdizione" presa dal mio ormai ex amico, era presentata come un'imperfezione studiata che faceva sembrare questa famiglia del Mulino Bianco ancora più bella. Un po' come il neo di Marylin Monroe.

Poi accadde una cosa: la madre di M.B., complimentandosi con mia madre su quanto io fossi bravo intelligente e responsabile, mi paragonò a un suo alunno (lei era professoressa di scuole medie, mi pare) e portò in spiaggia alcuni suoi componimenti, lodandone la spiccata sensibilità. Lessi qualcosa e mi cascarono le braccia. Questo suo alunno era chiaramente autistico, anzi lì per lì certe sue frasi mi fecero credere che fosse proprio ai limiti del ritardo mentale. Tanto per stare in tema, non era tanto differente da Christian Weston Chandler, che anni più tardi sarebbe diventato l'autistico più famoso di internet grazie a un'enorme opera di "outsider art" che vedeva come protagonista un bizzarro incrocio tra Sonic e il pokemon Pikachu. Ovviamente, una volta emerso al grande pubblico, è diventato lo zimbello di una discreta fetta di internet.

ZAP TO THE EXTREME!
La famiglia del Mulino Bianco, con un sorriso e un complimento, mi aveva fatto sentire una merda. Immagino che tutto questo sia stato parte della grande spinta a lasciar perdere il rifugio sicuro dell'interiorità videoludica e mettere un piede fuori in quel posto così pericoloso che era il mondo là fuori. Ma cazzo quanto bruciava. Probabilmente fu lì che iniziai a capire che sfanculare la famiglia d'origine è un passaggio obbligato e che comunque, dopo lo shock iniziale e i sensi di colpa che ne conseguivano,  con la famiglia d'origine non sarebbe stato un troncare definitivamente. Immagino che avrei in qualche modo dovuto ringraziare M.B. per questo suo consiglio indiretto.

M.B. è morto una decina di anni fa, in un modo talmente impensabile che sarebbe lecito inserirlo nei "Darwin Awards". Conoscenti comuni ci dissero, non senza una certa dose (piuttosto disgustosa) di scherno, che i suoi genitori tentarono di mantenere le apparenze anche di fronte alla tragedia. Fermo restando che queste osservazioni da pettegolezzo paesano mi fanno stracagarissimo, non mi sento davvero di dire nulla su questo tragico epilogo, perché ognuno gestisce il dolore come può.

Invece quello che mi sento di dire è che, per quanto mi sia divertito durante quelle estati (perché mi sono divertito, qui scrivo solo le parti più fastidiose), non rimpiango nessuna magia. Non è comprando un Sega Megadrive Mini che sarò felice ripensando a quando giocavo a Sonic con il mio intermittente amico. Non è rivivendo nella mia interiorità i momenti passati a leggere Topolino in gruppo dietro le cabine, o ricreando nella mia mente quando giocavamo a calcio nel campo da bocce, coi tedeschi incazzati che volevano occuparlo, che riuscirò a ricreare artificialmente questa presunta magia.

Perché non c'è mai stata nessuna magia. Non c'è bisogno di nessuna magia. La normalità può essere una cosa bellissima, e ho sputato sulle cose belle fin troppo, e sinceramente adesso ci ho la bocca un pochino secca.

7 commenti:

  1. Bel post,
    mi piace quando anche tu apri il cuore alle emozioni e ai ricordi, non perché ci si debba piangere addosso, ma perché questi ricordi fanno parte di noi. Non posso che concordare sul fatto che il presente stesso ci regali belle emozioni e belle cose, anzi, da adulti cose piccole in apparenza possono avere un valore eccezionale ed è bello così. Poi a volte, quando le cose non vanno bene (ed è normale che sia così, perché, come si è sempre detto, da bambini si vive nella bambagia senza responsabilità, da adulti le responsabilità sono inevitabili), si può cadere nella tentazione di guardare al passato, ma ci hai già tolto il velo di Maya su quanto ciò sia dannoso se portato all'esasperazione. Comunque M.B. (pace all'anima sua) si è comportato male con te, idem la sua famiglia, e apprezzo che tu ne abbia parlato comunque con una certa oggettività.

    RispondiElimina
    Risposte
    1. Grazie. Beh, sarebbe molto sciocco parlarne male per una cosa di più di vent'anni fa, e non solo perché il povero M.B. non è più tra noi. Molto spesso comportamenti a cui non diamo peso sono in grado di ferire tantissimo gli altri, e non per questo siamo dei cattivi da cartone animato che si arricciano i baffi sghignazzando e sistemandosi il monocolo.

      Elimina
  2. Oh, comunque io devo essere stato proprio fortunato: non ricordo un'adolescenza o post-adolescenza meravigliosa, da rimpiangere e idealizzare.

    Ricordo più tempo a disposizione per ascoltare musica e lèggere fumetti, questo sì. E ricordo che, poco dopo aver iniziato a lavorare, comprai una moto (1992?).
    Ma, nel complesso, sono più lieto adesso di allora.

    E comunque, prima che il gallo canti tre volte, ritornerò centauro.
    Augh.

    RispondiElimina
    Risposte
    1. Quello che viene da chiedersi è: viene rimpianta l'adolescenza reale oppure l'immagine che ci si è fatti dell'adolescenza? Sto iniziando a chiedermi quanto dell'infanzia che viene celebrata sia effettivamente vero e quanto sia un modo per schermarsi da certe cose a cui non si vuole pensare (e quindi ci si focalizza su quanto era bello leggere fumetti e ascoltare musica).

      Mi raccomando casco in testa ben allacciato, fari accesi anche di giorno e prudenza, sempre.

      Elimina
    2. Penso che il rimpianto sia associato a un periodo mediamente merdoso ma che, nei ricordi, si è misteriosamente trasformato in un periodo felice.

      Non ho mai sentito di periodi felici che, in sèguito, sono stati considerati terribili. Ma potrei sbagliare, neh.

      Non so come funzioni, ma so che il De Gregori indovinò un'azzeccata strofa "gli angoli del presente diventeranno curve nella memoria".

      A (s)proposito: ma tu l'hai visto il documentario "Chuck Norris vs Communism"? Chissà se qualcuno che vivacchiava nell'Europa comunista si è accorto che si stava male solo dopo la caduta delle varie cortine.

      Peace & Love.

      Elimina
    3. Non ho visto il documentario sul sopravvalutato karateka dell'Oklahoma (e diciamocelo, senza i "Chuck Norris Fact" il protagonista di Walker Texas Ranger sarebbe caduto in un meritatissimo oblio, dal punto di vista attoriale). Ma non faccio fatica a credere quello che dici, d'altra parte sta diventando di moda, in Russia, rimpiangere i bei tempi in cui c'era Baffone. Ah Boh.

      Elimina

Sicuro di aver letto bene il post? Prima di postare, rileggi.